L'INCHIESTA
VENEZIA «Voleva mettere giù il telefono, perché non

Giovedì 6 Dicembre 2018
L'INCHIESTA VENEZIA «Voleva mettere giù il telefono, perché non
L'INCHIESTA
VENEZIA «Voleva mettere giù il telefono, perché non voleva che sentissi le sue urla». È il passaggio più straziante della testimonianza resa da Emanuela Disarò, mamma di Gloria Trevisan, nel corso della Grenfell Tower Inquiry, l'inchiesta pubblica istituita dal governo britannico per accertare le responsabilità dell'immane incendio che nella notte fra il 13 e il 14 giugno 2017 a Londra causò la morte di 72 persone, tra cui appunto la 26enne di Camposampiero e il fidanzato Marco Gottardi, 27enne di San Stino di Livenza. Una deposizione scritta, letta lunedì nell'aula di Holborn Bars insieme a quella del marito Loris Trevisan, cruciale per ricostruire la tragedia attraverso le drammatiche chiamate intercorse fra la ragazza e i genitori.
CHIAMATE 1 E 2
Il lungo racconto di Emanuela, che traduciamo dall'inglese, comincia con il ritratto di Gloria, brillante architetto che si era trasferita a Notting Hill insieme all'amato Marco e aveva presto trovato lavoro in uno studio prestigioso. Ma poi arrivò quel terribile 14 giugno, «ironia della sorte» anniversario di matrimonio dei coniugi Trevisan, una settimana prima del ritorno in Italia per una breve vacanza. Ecco le prime due chiamate: «Alle 2.34 del mattino (1.34 nel regno Unito) squillò il telefono di Loris. Lui rispose ma non riusciva a sentire niente. Allora, subito dopo, squillò il mio cellulare. Era Gloria. La prima cosa che pensai era che volesse augurarmi buon anniversario. Invece la prima cosa che mi disse fu che c'era un problema. Mi disse subito che era scoppiato un incendio. Ovviamente era molto spaventata». Marco cercò di rassicurare la donna, che poi si fece ripassare la figlia. «Dissi a Gloria: La prima cosa che devi fare è prendere un asciugamano bagnato, mettitelo attorno alla bocca e vai giù. Gloria disse che non potevano assolutamente uscire, perché c'era troppo fumo. Allora le dissi di salire sul tetto. Disse che non potevano, perché c'era un cancello chiuso a chiave che bloccava la porta sul tetto. Decisero di stare dentro. Dicevano: Loro ci hanno detto di stare dentro, ma non so chi fossero loro». La chiamata durò 30 minuti e 53 secondi e finì alle 3.05 (2.05).
CHIAMATA 3
Alle 3.08 (2.08), Gloria mandò un messaggio vocale su WhatsApp al suo gruppo di amiche «per dire loro addio». Pochi istanti. «Le ragazze del gruppo precisa la madre potevano sentire una sirena sullo sfondo. Penso che questo suono venisse dall'edificio».
CHIAMATA 4
Alle 3.12 (2.12), la giovane chiamò di nuovo la mamma, che così rievoca quella telefonata: «Potevo sentire un allarme sullo sfondo. Gloria stava parlando a Marco. Li ho sentiti dire: Cos'hanno intenzione di fare?. Poi ho sentito Marco parlare in inglese a qualcun altro, ma non so a chi. Gloria mi disse: Adesso metto giù il telefono. Presumevo che questo significasse che avevano trovato una via di uscita e che mi avrebbero parlato più tardi».
CHIAMATA 5
Alle 3.13 (2.13), la ragazza effettuò una videochiamata. Spiega Emanuela: «Non riuscivo a vedere Gloria, probabilmente perché c'era fumo o perché non c'era luce, non so. Continuavo a dirle di andare alla finestra e di mettere la testa fuori per respirare. Gloria disse che non avrebbero mai spento l'incendio: È troppo grande, è impossibile, è arrivato al 23° piano e abbiamo il fuoco dentro casa, il fumo ha raggiunto le finestre del salotto ed è nero». Momenti concitati e terribili: «Gloria continuava a tossire. La sentii gridare aiuto fuori dalla finestra. Gloria mi chiese quanto alta è solitamente la scala dei vigili del fuoco perché potevano vedere i pompieri che allungavano le loro scale e volevano sapere se li avrebbero raggiunti. Non sapevo cosa rispondere. Disse: Non so cosa fare mamma, ti chiamo dopo».
CHIAMATA 6
L'ultima chiamata arrivò alle 3.45 (2.45) e durò 22 minuti: Emanuela azionò il vivavoce e Loris registrò la conversazione con il suo cellulare. «Mi resi conto a questo punto confida che non c'era speranza. Gloria mi disse: Mi butto dalla finestra, ti giuro che il fuoco è qui, è nel salotto, il fuoco è dappertutto, stiamo solo aspettando». I due fidanzati avevano chiuso la finestra, perché entravano pezzi di vetri scoppiati. «Poi disse diverse volte che aveva paura: Ci vorrebbe un miracolo. Sembra impossibile che sia tutto finito per entrambi». E ancora: «Disse: Non ci credo che possa finire così, non voglio crederci. Mi disse che non riusciva a vedere niente fuori, assolutamente niente di niente. Mi chiese di prendermi cura di sua cugina. Mi disse: Grazie infinite». È la parte più toccante della testimonianza: «Gloria mi disse che gli occhi le bruciavano e le facevano male. Le chiesi se entrambi avessero fatto tutto quello che pensavano di poter fare. Gloria disse: Sì. Le chiesi: Siete proprio al 23° piano? Gloria rispose: Sì. Riusciamo a vedere che l'incendio è troppo grande e hanno smesso di provare a salire. Credo che si stesse riferendo ai pompieri e al fatto che non sarebbero arrivati a salvarli. Gloria disse: Non vedo niente dalla finestra, per esempio non vedo un elicottero che possa venire a prenderci. Non vedo niente... Non riesco a respirare. Evidentemente aveva problemi a parlare. La sua gola stava bruciando, cominciava a sentirsi male e voleva andare veloce. A un certo punto mi disse che il fuoco stava entrando dalla finestra. Voleva interrompere la telefonata. Dissi: No, non voglio che tu lo faccia, voglio che mi passi Marco. Gloria disse che Marco era al telefono con suo papà. Le dissi che mi sentivo impotente. Continuava a dire che non riusciva a respirare. Mi disse ancora cosa provava per noi e che dovevamo dirci addio e che dovevamo essere forti. A quel punto Gloria disse che stava per mettere giù il telefono perché non voleva che io sentissi niente e ci disse addio. Disse che voleva solo svenire e che non avrebbe sentito niente. Disse: Voglio solo stare con Marco adesso».
DOLORE E RABBIA
Il dignitoso dolore di Emanuela è anche per la girandola di stati d'animo vissuti dalla figlia: «Panico, terrore, preoccupazione, consapevolezza e quindi rassegnazione, accettazione di come le cose stavano andando a finire». Ma alla sua famiglia è rimasta pure una composta rabbia per le sconcertanti carenze nella sicurezza e nei soccorsi, dal fatale rivestimento della torre priva di scala antincendio, all'ordine agli inquilini di stare fermi. «In Italia si legge nella deposizione della donna ci sarebbero stati gli elicotteri che prendevano la gente sul tetto e che inondavano il palazzo di acqua. Al giorno d'oggi, non capisco come Gloria e Marco non abbiano potuto uscire dal palazzo nell'ora e mezza che hanno avuto da quando sono stati svegliati». Una domanda condivisa da Loris: «La cosa di cui non mi capacito è il tempo passato da quando l'incendiò cominciò a quando Gloria e Marco morirono. C'era abbastanza tempo per uscire». La testimonianza del papà termina con il ricordo del rimpatrio delle salme. Una sofferenza indicibile: «Il corpo di Gloria è stato riportato in Italia il 18 luglio 2017 e i funerali si sono tenuti il giorno dopo. La mia vita è finita. Non vivo più».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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