L'ANALISI
ROMA «Vogliamo parlare di Libia? Un paese dalle infrastrutture

Lunedì 21 Gennaio 2019
L'ANALISI
ROMA «Vogliamo parlare di Libia? Un paese dalle infrastrutture governative a dir poco fragili, senza un vero esecutivo. Le milizie si sparano ancora. Appena un paio di mesi fa a Palermo si è tenuta la conferenza sulla Libia, non sulla Svezia!». Ed è con la Libia, così impietosamente descritta dal presidente del Centro studi internazionali (Cesi), Andrea Margelletti, un non-Stato o uno degli Stati falliti, che Italia e Unione europea si aspettano e un po' pretendono il mantenimento di accordi e promesse per arginare i flussi di boat-peolpe in cambio di aiuti già inviati e finanziamenti erogati.
Più che le avarie dei pattugliatori donati dall'Italia o la confusa organizzazione del centralino dei soccorsi libici, con difficoltà addirittura di traduzione, conta il fatto che il governo riconosciuto da Italia, Unione europea e Onu sotto la guida di Fayyez el-Sarraj, riesce a malapena a esercitare una giurisdizione su una porzione di Tripoli. Sospesa a un filo anche la sicurezza dei gangli principali del potere libico come la Noc, la società petrolifera nazionale, o la Banca centrale: le istituzioni comuni che distribuiscono i proventi della residua produzione energetica in un Paese che sulla carta è ricco di risorse.
L'opposizione di un leader forte nella sua regione (la Cirenaica) come il generale Haftar con le spalle coperte da Francia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, insieme a una situazione che è diventata esplosiva nel sud del Paese, in quella tumultuosa fascia sub-sahariana del Sahel che sfugge al controllo dei contingenti sia Onu che occidentali, rende qualsiasi intesa aleatoria. E inattendibile la risposta del governo di Serraj. «La Libia continuerà a avere un disperato bisogno di aiuto non solo nei prossimi mesi ma nei prossimi anni, quindi i risultati della pressione e dell'appoggio italiani si sono avuti, ma compatibilmente con la situazione interna», dice Margelletti. Ieri la missione di sostegno dell'Onu (Unsmil) ha espresso preoccupazione per le notizie provenienti dal Sud, cioè proprio dalle regioni frontaliere verso il Sahel da dove arrivano le colonne di nuovi migranti. L'inviato Ghassan Salamè ha visitato la città di Sebha e se la gente del Sud «ha un genuino desiderio di risolvere le questioni che la dividono», la mobilitazione delle forze armate e il botta e risposta delle parti, avverte Salamè, «segnalano il rischio crescente di conflitto imminente».
SCONTRI SUL TERRENO
Nel frattempo, tra le vittime degli scontri scoppiati il 15 gennaio a sud di Tripoli si deve registrare la morte di un foto-giornalista freelance, Mohamed Ben Khalifa, colpito da una scheggia mentre seguiva una milizia che pattugliava l'area di Qase Bin Ghashir. L'ambasciatore d'Italia, Giuseppe Perrone, in un tweet dice di esserne «terribilmente rattristato», e conclude: «Possa la Libia trovare la pace».
Questo il contesto nel quale Roma e Bruxelles chiedono ai libici di fermare l'esodo. Ma mentre per l'Europa (e l'Italia) il blocco dei flussi è una priorità, per i libici è un problema «accessorio», per dirla ancora con Margelletti: «Non possiamo pensare di trattare la Libia da Paese normale». La situazione è fluida, gli interlocutori guadagnano o perdono credibilità secondo i movimenti sul campo e il balletto degli equilibri militari. E sullo sfondo c'è un problema che va addirittura oltre quello dell'inconsistenza della Libia come Stato in grado di interloquire e firmare accordi. C'è che la questione non riguarda soltanto le coste e la partenza dei gommoni, ma l'incapacità di arginare il flusso all'origine, nei Paesi di provenienza. Che si trovano a Sud o a Est. Cosicché le quattro motovedette consegnate di recente ai libici o gli oltre 9 milioni di euro destinati alla fornitura di 20 gommoni superveloci, o il monte complessivo di oltre 300 milioni messi versati dalla Ue dal 2014, o l'addestramento a cura della Guardia costiera italiana di finanzieri libici negli anni, si scontrano con l'assenza di uno Stato che resta frammentato, in mano alle milizie, privo di manico e centri decisionali veri.
Marco Ventura
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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