IL RETROSCENA
ROMA Le sorti dell'autonomia differenziata sono strettamente legate

Domenica 17 Febbraio 2019
IL RETROSCENA
ROMA Le sorti dell'autonomia differenziata sono strettamente legate al destino di Matteo Salvini. Il capo della Lega, dopo il brusco stop imposto giovedì sera dai 5Stelle alla riforma, aveva chiesto «entro una settimana» un vertice politico per ottenere il via libera all'autonomia per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Ma domani il popolo grillino vota sulla piattaforma Rousseau se concedere o meno l'autorizzazione a procedere contro di lui per il caso Diciotti. E anche se com'è probabile passasse il no, il ministro dell'Interno dovrebbe attendere il voto dell'Aula del Senato per potersi considerare al sicuro. «E non si battono i pugni sul tavolo, né si minaccia la crisi», dice un esponente di peso del Carroccio, «se prima non è stato messo in salvo Matteo...».
Fino a metà marzo Salvini avrà le mani legate, insomma, a meno che dal voto su Rousseau non saltasse fuori un sì all'autorizzazione a procedere. In quel caso la «guerra nucleare», per usare una definizione di un altro dirigente leghista, esploderebbe. E probabilmente non ci sarebbe più neppure il governo e alcun vertice per decidere la sorte della bandiera identitaria del Carroccio. Ma questo è un epilogo che Salvini non vuole neppure prendere in considerazione. Tanto meno ora che la Procura di Catania appare orientata a chiedere l'autorizzazione a procedere anche contro il premier Giuseppe Conte e i ministri Luigi Di Maio e Danilo Toninelli: la decisione dei pm rimetterebbe in parità i contendenti.
STRATEGIA DEL RINVIO
Di certo, c'è che con il capo della Lega costretto per prudenza a tenere i toni bassi, Di Maio ha facile gioco con la sua strategia del rinvio. I 5Stelle, che alle elezioni del 4 marzo 2018 hanno fatto il pieno di voti nel Centro-Sud, sono contrari all'autonomia differenziata per le Regioni del Nord. E, come hanno dimostrato il Consiglio dei ministri di giovedì, sono determinati a bloccarla.
Lo fanno su due fronti. Il primo: i ministri Giulia Grillo (Sanità), Danilo Toninelli (Infrastrutture), Alberto Bonisoli (Cultura) Sergio Costa (Ambiente) e lo stesso Di Maio (Lavoro e Sviluppo) da mesi negano a Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna parte delle competenze richieste. E continueranno a negarle. Il secondo: i 5Stelle chiedono e pretendono un intervento del Parlamento. E non solo per la ratifica, a maggioranza assoluta, delle intese tra governo e Regioni. Roberto Fico, presidente della Camera, ha detto che le Camere dovranno avere «un ruolo centrale». Il premier Giuseppe Conte, che dovrebbe mediare tra Movimento e Lega, si è detto convinto che «il Parlamento non può essere un destinatario passivo di un progetto di riforma costituzionale». E Di Maio parla riservatamente di «ruolo attivo». Traduzione: le Camere, a giudizio dei grillini, hanno il diritto di modificare le intese tra governo e Regioni.
Di tutt'altro avviso la Lega. La ministra agli Affari regionali Erika Stefani garantisce: «Siamo pronti ad ascoltare il Parlamento». Ma solo e soltanto prima che il governo abbia perfezionato e firmato il patto con le Regioni. Dopo, quegli accordi per il Carroccio sono da ritenere inemendabili al pari di un trattato internazionale o di un'intesa tra Stato e le confessioni religiose. C'è da dire che la materia è decisamente complessa e che non esistono precedenti. La Stefani, che potrebbe essere convocata in settimana dalla Commissione bicamerale sul federalismo fiscale, spera di cavarsela con un ordine del giorno o con una risoluzione che «impegna il governo...». Per poi andare a firmare gli accordi con i governatori Attilio Fontana (Lombardia), Luca Zaia (Veneto) e Stefano Bonaccini (Emilia Romagna). I grillini invece, ma la strategia non è ancora definita e Fico sta esplorando la procedura insieme alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, vorrebbero invece intervenire sui testi degli accordi. L'obiettivo è lampante: rinviare quanto più possibile, sicuramente a dopo le elezioni europee, il via libera alla riforma. Un epilogo per Salvini, e soprattutto per i governatori Fontana e Zaia, «inaccettabile».
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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