IL RETROSCENA
ROMA Fare sfoggio di populismo al World Economic Forum è un

Giovedì 24 Gennaio 2019
IL RETROSCENA
ROMA Fare sfoggio di populismo al World Economic Forum è un po' come mettersi platealmente le dita nel naso durante un banchetto a Buckingham Palace. Giuseppe Conte sa che a Davos il criterio di ammissione è il livello di potere, di ricchezza e di influenza. E che conta esserci, o quantomeno restare collegati in video conferenza per ascoltare o interloquire con banchieri, finanzieri, superconsulenti e potenti della terra. Molto più dello studio Alpa e poco meno del gruppo Bildenberg o della Trilateral, potenti reti di influenza che da tempo stimolano i fan dei complotti alla Elio Lannutti.
LE APERTURE
L'orgoglio sovranista mostrato ieri dal premier stride con la nota del giorno prima morbida nei confronti della Francia, e con gli incontri che Conte ha a Davos con il gotha della finanza, della politica e della imprenditoria mondiale. Da Tim Cook di Apple alla Cancelliera Merkel. Due stili diversi, forse due ghostwriter diversi, ma una sola firma: quella di Conte che nel discorso si propone come avvocato difensore del popolo europeo che dubita dell'europeismo francese, mentre i suoi ministri auto-affondano la missione Sophia. Individuare il filo strategico della politica estera di palazzo Chigi è complicato. Tattica e propaganda prevalgono. La campagna elettorale non solo piega le affermazioni dei due vice Di Maio e Salvini, ma obbliga anche Conte ad allinearsi lasciando più solo quel terzo partito della maggioranza - benedetto dal Quirinale - che sinora ha cercato di tenere la barra dritta specie in politica estera.
Il problema che Conte comincia ad avvertire è che il M5S di alleati non ne ha a Bruxelles come a Parigi o a Berlino. Dopo i falliti tentativi di aggancio di En Marche, e le per ora infruttuose aperture ai gilet gialli, i grillini in Europa inseguono alleanze con micro-partiti con i quali riusciranno a comporre un gruppo nell'europarlamento, ma rischiano di non essere interlocutori dei grandi gruppi intorno ai quali si è sempre composta una maggioranza. Tantomeno puntano - come la Lega - a comporre un potente serbatoio in grado di spingere il Ppe all'intesa.
Conte, dopo aver invocato «un'Europa del popolo, dal popolo, per il popolo», ieri a Davos ha cercato di nuovo l'interlocuzione con Angela Merkel per spiegarle che certe durezze di questi giorni sono da imputarsi alla campagna elettorale, che dopo le Europee inevitabilmente i toni cambieranno. Ma senza incassare un solo assenso da parte della Cancelliera. Sembra difficile che il premier possa solo aver pensato di scalfire l'asse franco-tedesco - celebrato il giorno prima ad Aquisgrana - con un caffè. Complicato, per Conte, tenersi in equilibrio tra le esigenze della campagna elettorale - pianificata a tavolino dagli strateghi della Casaleggio - e i doveri legati al ruolo di responsabile anche della politica estera dell'esecutivo. Gli attacchi alla Bce, al Fmi, alla Francia, la messa in discussione del progetto europeo, non fanno però solo parte del discorso fatto ieri a Davos dal premier, ma compongono gli argomenti di una campagna elettorale che il M5S intende giocata tutta popolo contro elite. Dove, sempre per il M5S, il popolo è quello dei meet-up e della piattaforma Rousseau e l'élite è Macron e, in Italia, coloro che, come Renzi, Calenda o la Bonino, gli rassomigliano. Una strategia che rappresenta una vera e propria scommessa di cui Conte rischia di pagare il prezzo più alto se il M5S dovesse essere scavalcato dalla Lega. Un prezzo il premier rischia di doverlo pagare - in termine di sostanziale isolamento europeo - anche qualora il risultato elettorale non dovesse penalizzare M5S. «Non serve a nulla votare Salvini alle europee se si vuole cambiare l'Europa, perché né Lega né M5S ne avranno la forza e saranno forze marginali nel Parlamento europeo». Antonio Tajani, presidente dell'europarlamento, ieri a Porta a Porta ha di fatto riportato i dati dell'eurobarometro secondo i quali l'Italia darebbe un consistente contributo alle presenze sovraniste a Strasburgo, ma non sufficiente a stravolgere gli assetti.
Marco Conti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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