Il braccio di ferro a Davos

Giovedì 24 Gennaio 2019
LA GIORNATA
ROMA «Se la Francia vuole mettere a disposizione il proprio seggio nel Consiglio di sicurezza dell'Onu, parliamone e facciamolo nel contesto europeo, se davvero vogliamo dare importanza a tale contesto». Così il premier Giuseppe Conte apre dal Forum economico mondiale di Davos un altro fronte nella dialettica, assai aspra, con la Francia. Invitata a lasciare europeisticamente alla Ue, e non a tenerselo gelosamente per sé, il posto nel pacchetto di guida delle Nazioni Unite. Una sollecitazione che non può far piacere al governo di Macron, naturalmente.
«Il nostro obiettivo non può essere quello di dare un seggio permanente in più a un singolo Parse europeo», incalza il premier italiano che di fronte alle polemiche scatenate contro Parigi da Di Maio e da Salvini si erge a mediatore ma a sua volta non rinuncia ad entrare nella contesa. La cui virulenza sala anche per effetto di dichiarazioni così, provenienti da Oltralpe: «Di Maio e Salvini? Parole insignificanti». Lo ha detto la ministra francese degli Affari europei, Nathalie Loiseau. Che rincara la dose: «Non vogliamo giocare al concorso di chi è più stupido. Con l'Italia abbiamo molte cose da fare e vogliamo continuare a farle. Mi recherò in Italia quando il clima si sarà calmato». E questo lo ha detto a chi le chiedeva se la Francia fosse pronta ad adottare eventuali ritorsioni contro l'Italia, ad esempio sul caso Stx-Fincantieri o sul dossier Alitalia. La durezza del governo macroniano, sempre per bocca della ministra degli Affari europei, è di questo tipo: «In Francia si dice che tutto ciò che è eccessivo è insignificante. Quando le dichiarazioni diventano eccessive per toni e quantità, diventano dunque insignificanti». E ancora: «Che cosa ci guadagnano gli italiani con le dichiarazioni di questi giorni? Contribuiscono forse al benessere del popolo italiano, che è generalmente l'obiettivo di ogni governo, queste parole? Non penso».
E altre osservazioni di Conte sono perfette per far venire l'orticaria a Macron. «L'opinione pubblica europea - spiega Conte - per anni ha considerato il progetto Ue come lo strumento per affrontare le grandi sfide e proteggere dal loro impatto negativo. Ma oggi questo progetto sta mettendo in dubbio la sua validità e credibilità». E il «popolo» è stanco. O meglio: «Gli italiani sono stati pazienti per molti anni, dando fiducia alle istituzioni politiche e tecniche europee». Ma a dispetto delle aspettative dei cittadini comunitari, la reale implementazione dell'euro è stata «molto diversa», ha incalzato Conte, sottolineando che il prezzo della stabilità è stato «un crescente debito pubblico» e «la frugalità di bilancio ha frenato la crescita del Pil». Ma ecco l'affondo populista: «C'è una parola chiave attorno alla quale abbiamo costruito la nostra visione politica e l'attività del nostro governo. E quella parola è Popolo». E in italiano, per sottolineare la forza della sua convinzione, Conte legge anche in italiano davanti alla platea del Forum di Davos il passaggio della Costituzione: «In Italia la sovranità appartiene al popolo».
BENZINA
Segue l'esortazione del premier: «Dobbiamo dare una risposta a tutto questo. Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo, una visione radicalmente nuova della politica, che metta al centro gli esseri umani, le famiglie, le comunità». Conclusione: «Questa è l'Europa che sogniamo. Un'Europa del popolo, fatta dal popolo e per il popolo». Il solco con l'anti-populismo di Macron sta così diventando abissale. E Conte che doveva essere il mediatore tra Roma e Parigi ha invece deciso di usare la benzina.
Mario Ajello
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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