​Luca Pacioli, ​il matematico ed economista che "creò" la contabilità dei mercanti

Mercoledì 27 Dicembre 2017 di Alberto Toso Fei
Illustrazione di Matteo Bergamelli
A Venezia Luca Pacioli non era nato, né vi morì. Eppure a Venezia – dove trascorse tre lunghi periodi della sua vita – questo frate matematico ed economista pubblicò gran parte dei suoi trattati sulla matematica, e mise a punto il sistema di contabilità dei mercanti veneziani (la “partita doppia”, con il dare e l'avere su pagine contrapposte, descritta nel suo libro “Summa de arithmetica”) codificandolo e rendendolo universale. Una vera rivoluzione per il mondo mercantile dell'epoca, visto che si trattò del primo libro dedicato all'algebra pubblicato in volgare (e con i numeri arabi), che rimase per decenni un punto di riferimento per i contabili dell'epoca. Sebbene sia oramai acclarato che la partita doppia non sia una invenzione veneziana, il fatto che questa “bibbia” rinascimentale sull'argomento fosse stata stampata a Venezia fece conoscere il sistema contabile come quello “al modo di Vinegia”.



Nato nel 1446 a Borgo Sansepolcro, in provincia di Arezzo, dall'allevatore di bestiame Bartolomeo e da Maddalena Nuti, Pacioli arrivò a Venezia una prima volta a diciannove anni per prendere lezioni di matematica da Domenico Bragadin, facendo nel contempo – per mantenersi gli studi – da precettore ai tre figli del mercante Antonio Rompiasi, alla Giudecca. Fu forse lì che prese contatto per la prima volta con la partita doppia.

Il tempo di recarsi a Roma e poi a Urbino ed ecco che, alla pari dei fratelli Ginepro e Ambrogio (un quarto fratello, Antonio, era morto giovane) vestì l'abito francescano per essere poi chiamato a insegnare all'Università di Perugia, città nella quale tornò a più riprese. Dopo un periplo che lo vide a Zara, Napoli e Roma (dove iniziò a interessarsi alla realizzazione di poliedri solidi, basandosi sugli studi di Euclide) tornò a Venezia per dare alle stampe il “De divina proportione”, un libro dedicato essenzialmente alla sezione aurea e alle sue applicazioni in pittura e architettura, ma soprattutto il primo volume mai dato alle stampe che contenga i solidi leonardeschi e il celeberrimo uomo di Vitruvio. D'altronde, Pacioli era amico di Leonardo da Vinci, che collaborò col frate per realizzare il volume.

Non solo: a Venezia potrebbe essere stato lui a ispirare Paolo Uccello per la realizzazione del celebre mosaico del dodecaedro stellato che si trova sul pavimento di San Marco, proprio all'ingresso principale. E in laguna conobbe sicuramente Erasmo da Rotterdam, che ne tracciò – forse – un ritratto nel suo “Elogio della pazzia”; a Luca Pacioli toccò ovviamente la figura del matematico, che con la schiatta dei suoi pari “confondono le idee agli ignoranti con triangoli, quadrati, circoli, e figure geometriche siffatte, disposte le une sulle altre a formare una specie di labirinto, e poi con lettere collocate quasi in ordine di battaglia e variamente manovrate”.

Il frate continuò a viaggiare per tutta la vita: Sansepolcro (più e più volte), Padova, Urbino, Milano, Pavia, Firenze, Mantova, Perugia; inarrestabile, continuò a sfornare opere di grande levatura e grandissima diffusione: “De viribus quantitatis”, redatto tra il 1496 e il 1509, una vasta raccolta di giochi matematici, geometrici e meccanici (ma che contiene anche indovinelli, ricette e proverbi), che costituisce una summa dei giochi conosciuti fino al primo Cinquecento; “De ludo scachorum”, scritto nel 1500 in onore di Isabella d’Este Gonzaga, appassionata giocatrice di scacchi.

Nel 1508 Pacioli si trasferì, per la terza e ultima volta, a Venezia. Quell'anno, nella chiesa di San Bartolomeo, tenne una prolusione su Euclide alla presenza – fra gli altri – di Bernardo Bembo, Aldo Manuzio e Pietro Lombardo. Fu forse in quell'occasione (l'attribuzione è tutt'ora incerta) che Jacopo de' Barbari gli fece l'unico ritratto oggi conosciuto: il frate vi compare mentre illustra su una lavagna un teorema di Euclide; su un tavolo, un trattato di geometria e un dodecaedro di legno. Appesa alle sue spalle un'altra figura pazzesca, fatta di vetro e ripiena per metà d'acqua: un rombicubottaedro, sulle cui facce per tre volte è riflesso il palazzo ducale di Urbino. Luca Pacioli morì a Borgo Sansepolcro (o forse a Roma), un giorno imprecisato del 1517.
Ultimo aggiornamento: 12:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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