Multa al nipote del boss Donadio, gomme tagliate alla vigilessa

Martedì 26 Febbraio 2019 di Monica Andolfatto
Multa al nipote del boss Donadio, gomme tagliate alla vigilessa
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Eraclea, un paese travolto e stravolto dall'inchiesta della Procura Antimafia di Venezia, che non solo ha collocato nel centro del comune il feudo del clan dei casalesi, ma che tra i 50 arresti ha visto anche il nome del sindaco Mirko Mestre, mentre il suo vice, Graziano Teso risulta indagato.
STRAVOLTI
La prima domenica, l'altro ieri, dopo il blitz di Guardia di Finanza e Polizia scattato nella notte con una nebbia fittissima fino a giorno inoltrato, è stata salutata da un sole quasi primaverile. Chi è in chiesa per la messa, chi è nei bar e nelle pasticcerie aperte. In piazza Garibaldi, la principale, a colpire è la presenza di un'assenza. Già proprio così. Mancano le macchine dei Donadio e dei parenti e sodali più stretti: auto tutte di grossa cilindrata, rigorosamente scure, con una predilezione per le Bmw, meglio se suv, ma anche Mercedes o Porsche. Di solito erano parcheggiate davanti al Punto Snai, al civico 30, gestito da Adriano, primogenito del boss Luciano, entrambi finiti in manette lo scorso martedì. Non erano posti riservati ma erano utilizzati solo da loro: non serviva il cartello di divieto a valere di più era una regola non scritta che tutti o quasi rispettavano. Con quelli là era meglio non avere nulla a che fare perché si rischiava di brutto.
Ne sanno qualcosa soprattutto i vigili urbani che, come si desume dagli atti delle indagini, loro malgrado sono finiti nel mirino del clan. «Erano sfrontati, arroganti. Nel giorno del mercato nel perimetro della piazza qualsiasi mezzo è interdetto, loro se ne fregavano. E allora io procedevo con la rimozione. Se mi minacciavano? Certo e mi offendevano pure», ci spiegava un agente proprio nelle prime ore successive alla retata, guardando i sigilli del sequestro apposti all'ingresso della sala scommesse, dove Luciano Donadio andava a guardarsi le partite di calcio, o dava appuntamento ai suoi per parlare d'affari oppure per andare insieme nel luogo prefissato al telefono.
RITORSIONI
Nessuno poteva osare toccare i Donadio, nemmeno con una multa. Ma c'era chi osava eccome. Infischiandosene delle eventuali ritorsioni. Come nel 2009 quando il comandante della polizia locale sanzionò più volte il figlio di Luciano: la punizione doveva essere esemplare, l'incendio della sua autovettura con delle bottiglie molotov. Il piano, già entrato nella fase preparatoria con i sopralluoghi fatti da Tommaso Napoletano e Nunzio Conforto (ora entrambi arrestati), non trovò attuazione grazie alla collaborazione di un pentito.
E alla luce degli ultimi sviluppi ecco che anche un episodio di vandalismo contro l'auto di una vigilessa, denunciato dall'interessata ai carabinieri nell'estate del 2017 contro ignoti, prende una certa concretezza su mandanti ed esecutori. L'agente poco prima di ritrovarsi la vettura sotto la propria abitazione con la carrozzeria rigata e le quattro gomme tagliate con un coltello, aveva elevato una contravvenzione a Antonio Puoti, nipote di Luciano Donadio. Lo aveva fermato su un furgone non revisionato di una ditta riconducibile a quelle della camorra trapiantata in riva al Piave. In una riunione fra Donadio e Zamuner emerge che il primo aveva dato indicazioni di individuare l'indirizzo di casa della donna per darle una lezione.
«Ho fatto solo il mio dovere si limita a commentare le regole sono regole per tutti. In un eventuale processo mi costituirò parte civile se ce ne saranno i presupposti. Per il resto io non ho mai piegato la testa. Li ho sempre guardati dritti negli occhi nonostante le offese e gli insulti. Ma so anche che prima o poi usciranno. E dubito che la galera li possa far cambiare».
 
Ultimo aggiornamento: 10:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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