Pasticceria storica a Treviso, Ardizzoni festeggia i 60 anni: «Certo, qualche volta sbagliamo, o siamo un po’ naif, ma è famiglia»

Martedì 16 Gennaio 2024 di Elena Filini
Pasticceria storica a Treviso, Ardizzoni festeggia i 60 anni

TREVISO - Sessant’anni di attività, e sempre nello stesso posto. Un sogno di Franco e Ivana, diventato realtà e consolidato nel tempo, portato avanti da Alessandro e da Anna con tenacia e dedizione, con un team solido ed affiatato, con l’obiettivo di portare dolcezza nelle case dei trevigiani ma anche di salvaguardare la tradizione senza sentire il bisogno di rincorrere la moda del momento, con professionalità e amore. «Certo, qualche volta sbagliamo, o siamo un po’ naif, ma, lasciatemelo dire, questa è la pasticceria orgogliosamente artigiana, questa è famiglia».

Da sessant’anni quell’indirizzo in una laterale di via Montello risveglia nei Trevigiani memorie golose, feste famigliari, compleanni e dolci memorie. Un punto di riferimento insostituibile per molti, per Alessandro l’orgoglio di portare avanti con successo il sogno di papà Franco. 


Come si festeggiano 60 anni di pasticceria? 
«Anzitutto ho pensato di ricordarlo giornalmente con gli hastag. Ogni foto è estemporanea, abbiamo foto vecchie nei cassoni, foto recenti, foto stoccate in qualche computer vecchio o in chiavette. E’ come mettere ordine nella memoria. Poi sceglieremo una data per un brindisi e un rinfresco. Desidero inoltre lanciare una linea di lievitati dedicata a mio papà con le vecchie ricette perchè noi siamo e rimaniamo la pasticceria della tradizione».


Quando nasce la storia di Ardizzoni? 
«La nostra pasticceria è stata aperta il primo aprile 1964 da Franco ed Ivana, e come amava ricordare mio padre, firmando una pila di cambiali, e ben presto è diventata una pasticceria apprezzata, prima nell’ambito comunale e poi varcandone i confini».


Lei quando entra in laboratorio? 
«Ufficialmente a settembre 1985 appena finito il servizio di leva, come semplice apprendista, anche se fresco di diploma alberghiero, una dura gavetta che mi ha fatto conoscere la pasticceria dalla A alla Z, dalla pulizia delle placche da forno ai lavori in zucchero soffiato. Con me in laboratorio, mia mamma in negozio, e con uno staff consolidato con alla guida il capo pasticcere Riccardo Caratti, mio papà si è potuto concentrare sulle pubbliche relazioni, portando di fatto alla nostra pasticceria un respiro internazionale».


Le date salienti della vostra storia? 
«Oltre al 1964, il 1980 primo restyling del negozio, il 1990 acquisizione dei locali dove viene realizzato il nuovo laboratorio, il 2017 secondo restyling del negozio, 2018 inserimento del piccolo angolo caffetteria e purtroppo il 2020 anno del Covid e della morte di mio papà». 


Quando è avvenuto l’avvicendamento professionale? 
«Il ricambio generazionale avviene il 29 dicembre 1999, sempre nel segno della continuità, ed il testimone passa ad Anna, mia moglie, ed a me. I tempi sono cambiati le nuove procedure e soprattutto la burocrazia, impongono un cambio di passo. Partecipiamo in quegli anni a concorsi nazionali ed internazionali con grandi soddisfazioni, e continuiamo a crescere. Insieme a me collaborano i “ragazzi del laboratorio” Mauro, Claudio ed Angelica, in negozio con l’Anna, mia mamma e la Cinzia, ed assieme cerchiamo di accontentare i nostri clienti». 


Qual è il cavallo di battaglia di Ardizzoni? 
«La meringata. Gli ingredienti alla fine sono semplici, l’ingrediente speciale è il saper fare, il cosiddetto soramanego».


La tradizione è un orgoglio o va superata? 
«E’ orgoglio, e credo sia importante educare i nostri clienti. Anche in pasticceria ogni frutto ha la sua stagione. Dopo Natale abbiamo fatto la pinza, ora siamo passati a crostoli e frittelle. Non condivido questa globalizzazione per la quale debba esserci sempre tutto». 


Il suo dolce preferito? 
«La zuppa inglese, che facciamo solo su ordinazione». 


Come vede in generale il fenomeno pasticceria oggi? 
«Guardando in generale ai banchi di pasticceria direi che sono quasi tutti sovrapponibili e pieni di bavaresi di diversi colori. La pasticceria italiana è rimasta in mano a poche piccole pasticcerie. Io dico: i macaron non ci appartengono, manteniamo invece i dolci italiani che hanno fatto la storia».


Cosa non può mancare in una pasticceria italiana? 
«Su un banco italiano non possono mancare la diplomatica, il cannoncino o crostella e tra le paste secche la moka, le greche, le romane».


Cosa pensa degli pastry chef? Le piace la pasticceria estetica? 
«Io sono un artigiano, mi piacciono le cose irregolari. La ricerca estetica troppo spinta nella pasticceria non fa per me».


Il tiramisù è sempre un dolce di successo o è un po’ passato di moda? 
«La sbornia non è affatto passata perchè continua a essere rinverdita da mille manifestazioni. Francamente anche se noi cerchiamo di farlo bene (ho un ristorante che me lo compra dal 1972) per me il tiramisù è un dolce di casa, non l’ho mai considerato un vero dolce di pasticceria. Poi se posso dire non chiamerei tiramisù le cosiddette ricette creative. Un dessert ai mirtilli o fragole non dovrebbe chiamarsi tiramisù».


La pasticceria conserva un aspetto un po’ d’antan.
«Nel 2017 abbiamo rifatto tutto il negozio ma siamo stati minacciati dai clienti di non stravolgere la pasticceria. C’è anche una memoria visiva, importante tanto quella dei sapori».

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