Hugo Cimenti: «Da cameriere emigrante a banchiere dei potenti». Fu lui a svelare dove fosse il tesoro di Craxi - Foto

Lunedì 31 Luglio 2023 di Edoardo Pittalis
Hugo Cimenti

Hugo Cimenti, 85 anni, se n’è andato da Maserada sul Piave (Treviso) per diventare un manager internazionale: amico di monsignor Marcinkus (ex capo dello Ior) e dell’ex leader Psi. «Lavoravo all’American Express, quando scoppia Mani Pulite mi chiama Di Pietro, esibisco i trasferimenti ricevuti, faccio 10 giorni ai domiciliari e patteggio una multa. Mi dispiace per Craxi: per come è morto, per dove è sepolto. Ma non sono il giudice.

È stato il banchiere del "banchiere di Dio". E anche il banchiere di Bettino Craxi. Ha indicato lui ai giudici di Tangentopoli dove potevano trovare il tesoro del leader del Psi: 37 miliardi di lire nelle banche e 15 chili d'oro in una cassetta di sicurezza di Ginevra. Ma i soldi li aveva già fatti sparire Maurizio Raggio e i lingotti li avevano prelevati i magistrati svizzeri.

Da cameriere a banchiere

Una travolgente carriera per il cameriere delle navi da crociera emigrato in America da Maserada sul Piave (Treviso). Gli Usa per accettarlo gli hanno americanizzato anche il nome, da Ugo a Hugo. Era partito dalla piazza del paese con la corriera per Treviso, la mamma gli aveva consegnato due valigie con dentro soltanto due vecchie scarpe. «Mi disse che la gente doveva vedere che partivo con le valigie. Erano vuote perché voleva che le riportassi indietro piene». Hugo Cimenti, 85 anni, ha mantenuto la promessa: è ritornato ricco. È stato uno dei più alti dirigenti della Bankers Trust e poi dell'American Express.

Oggi vive tra la Florida e Maserada; in America gioca a golf, in Veneto scrive libri. Ha appena scritto "Due valigie piene di niente" (Antiga edizioni), con la collaborazione di Pamela Ferlin. «Tutti i proventi delle vendite vanno per la costruzione di un padiglione nell'ospedale di Leopoli in Ucraina, dove i bambini colpiti dalla guerra possano ricevere un'adeguata assistenza. A settembre col principe Alberto di Monaco faremo una serata a Milano per raccogliere fondi». Sposato da 60 anni con Gloria, due figlie. Una vita in giro per il mondo a gestire investimenti, senza mai dimenticare di essere un emigrante. «Se mi chiedono se mi sento più italiano o più americano, rispondo che mi sento semplicemente un emigrante».


Una storia che incomincia prima della guerra in un paese sul Piave


«Eravamo molto poveri. Mio padre Pietro Giacomo veniva dalla Carnia, aveva sposato a Meolo Maria Conterosa e voleva fare il sarto, ma era dovuto emigrare in Germania: rientrava solo per Natale, nove mesi dopo nasceva un nuovo figlio. Siamo sopravvissuti in nove. Il nome lo devo a un fratello che non ho mai conosciuto e che era morto a Treviso cadendo con la bicicletta sulle rotaie del tram mentre andava al lavoro. Mio fratello Giacomo era partigiano, si è ribellato ai tedeschi, è stato ucciso e un monumento lo ricorda al cimitero di Maserada. Nei miei anni di guerra c'è stata una sola bella giornata: avevo quattro anni quando mia sorella è tornata da Milano e mi ha portato a Venezia dove non ero mai stato. La nostra casa è stata distrutta dalle bombe, mia madre che era una donna religiosa teneva a farci capire che eravamo stati fortunati: le bombe erano cadute mentre noi eravamo fuori».


Quando è incominciata la sua vita di cameriere?


«Prima ho fatto le medie a Treviso, alla San Francesco, andavo in bicicletta da Maserada, giocavo a rugby, ero piccolo ma veloce e resistente, con la squadra siamo arrivati alla finale giovanile nazionale. Conservo una foto col grande Maci Battaglin che era un mito del rugby. Volevo fare il cameriere e mi hanno iscritto alla scuola di Porretta Terme e, per pagarmi il viaggio per tornare a casa, servivo ai tavoli delle osterie di Porretta per i camionisti, potevo tenere le mance. Un'estate mi ingaggiano a Treviso per un matrimonio e quando sono davanti alla coppia scopro con stupore che lo sposo è un mio cugino e la sposa è Mirca Sartori, la Miss Italia. Da ottobre a aprile lavoravo come cameriere sulla nave "Italia", rotta New York-Bahamas, me la cavavo con le lingue. La busta paga veniva mandata direttamente a mia madre».


Quando è arrivato negli Usa diventandone poi cittadino?


«Nel 1962 mi sono imbarcato su un rimorchiatore che andava a New York e lavavo le pignatte in cucina. Eravamo pronti per scendere dopo 22 giorni di navigazione, ma era proibito sbarcare, il cielo era pieno di aerei militari diretti a Cuba. C'era il pericolo di una terza guerra mondiale. Avevo 26 anni quando ho conosciuto una ragazza americana e ci siamo sposati, si chiama Gloria Musumeci, nonno emigrato siciliano. Sono entrato ufficialmente in America il 29 agosto 1964, dopo il matrimonio mi sono iscritto al liceo di Brooklyn, successivamente sono andato al College e ho pure cambiato mestiere: fattorino di una banca che mi ha pagato l'università. Nei fine settimana facevo il cameriere in un grande ristorante dove cantava Frank Sinatra che beveva moltissimo. Gli ero simpatico, mi regalava 100 dollari di mancia, più del mio stipendio di fattorino».


Dalla mancia di Frank Sinatra a funzionario di banca: come ha fatto?


«Dopo la laurea vengo a sapere che la banca cerca qualcuno da impiegare nel gruppo internazionale. Mi mandano in Liberia, e parto con mia moglie, una figlia di due anni e mezzo e un'altra in arrivo. Sono l'unico bianco nelle banche di Monrovia. Rientro in America e nel giro di qualche mese si prospetta un lavoro a Milano, la banca deve aprire e cerca qualcuno che parli l'italiano. Era il 1974, c'erano liberi i locali in via Turati appena lasciati da Sindona, così vado alla Bocconi per capire meglio il contratto d'affitto e parlo con Mario Monti. Poi conosco il signor Casiraghi, proprietario di una società per l'aria condizionata, al quale trovo un buon acquirente americano e diventiamo amici. Un giorno mi invita a colazione e viene ad aprire una bellissima ragazza, è la principessa Carolina di Monaco, fidanzata col figlio di Casiraghi, Stefano. Mi capita di accompagnare i due giovani allo stadio a vedere il Milan, ospiti di Silvio Berlusconi, e conosco il Cavaliere. A Montecarlo Casiraghi mi presenta come il suo banchiere e avvicino clienti importanti. La banca mi trasferisce con successo a Parigi nel 1979 e nel 1984 decide di aprire un ufficio per clienti facoltosi a Londra. Potevo contare sulle persone che avevo conosciuto a Milano e a Parigi. Ho avuto la fortuna sfacciata che molti ricchi italiani che abitano a Montecarlo cercavano un banchiere di fiducia con sede a Londra e capace di assicurare il portafoglio a Ginevra».


È allora che conosce Craxi e Marcinkus?


«In quegli anni ho conosciuto Bettino Craxi e anche il presidente dello Ior Paul Marcinkus, lo chiamavo "Bishop", il vescovo, ha cresimato la mia figlia più grande. Lo aiuto a risolvere il problema delle offerte dei fedeli che arrivano da ogni Paese e che servono per le missioni: tutta quella moneta estera viene raccolta a Roma, spedita a New York e qui trasformata in dollari. Succede che il presidente della mia banca vuole venire con la moglie a Milano per la settimana della Moda, nessun problema per le sfilate, più complicato quando la signora chiede di incontrare il Papa. Siamo nella settimana di Pasqua e Giovanni Paolo II ha ogni minuto occupato. Mi salva Marcinkus, trova l'unico spazio disponibile prima della lavanda dei piedi e fa in modo che il Papa incontri la signora. Rientro a New York per le feste in famiglia, il presidente mi invita a pranzo, in banca sono sconvolti, la cosa mi vale una promozione e una gratificata. Con Marcinkus ho interrotto i rapporti dopo lo scandalo dello Ior».


E i rapporti con Craxi?


«Nel frattempo avevo lasciato la Bankers Trust e sono passato all'American Express portandomi appresso i migliori clienti. Craxi andavo a trovarlo una volta all'anno, al Raphael di Roma. Poi scoppia il caso Mario Chiesa e i giudici di Mani Pulite, soprattutto Di Pietro e Greco, lo incalzano. Dice che il suo banchiere sono io e Di Pietro mi chiama, rispondo a tutto, esibisco i trasferimenti ricevuti. Accusato di favoreggiamento, per dieci giorni rimango agli arresti domiciliari. Ma non sono emerse responsabilità, ho patteggiato una multa di quasi un milione e mezzo di lire. La banca ha pagato le spese legali e respinto le dimissioni. Mi dispiace per Craxi, per come è morto, per dove è sepolto. Ma io non sono il giudice».

Ultimo aggiornamento: 16:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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