ODERZO - Con filiere produttive ormai articolate a livello globale e sempre più interconnesse, era purtroppo illusorio pensare che la guerra in Ucraina non avesse ripercussioni anche sulle aziende nostrane. La prima a dover fare i conti con le conseguenza della drammatica situazione in quel teatro dell’Europa Orientale è la Sole di Oderzo. L’industria opitergina non ha collegamenti diretti con la repubblica di Kiev, ma rischia di subire comunque un forzato rallentamento dell’attività: specializzata nella realizzazione di componenti plastiche, la Sole lavora soprattutto per il settore automobilistico e, in particolare, per le grandi case tedesche.
INCONTRO URGENTE
Ieri si è tenuto un incontro straordinario e urgente tra i vertici dell’azienda trevigiana e i rappresentanti sindacali interni degli oltre 500 addetti: i manager hanno informato le Rsu che, proprio in conseguenza del conflitto in atto, diverse case automobilistiche della Germania, dalla Bmw alla Porsche, hanno annunciato lo stop di alcuni siti produttivi per una decina o una quindicina di giorni. E questo significa una frenata delle commesse pure dei “pezzi” prodotti alla Sole. Dunque, anche ad Oderzo si profila la possibilità di dover fare ricorso alla cassa integrazione per compensare un prossimo periodo di minor lavoro. I rappresentanti dell’azienda e dei dipendenti si ritroveranno già nei prossimi giorni per valutare via via l’effettiva portata della frenata “a monte” e, nel caso, definire nel dettaglio modalità e destinatari dell’ammortizzatore sociale.
LA FILIERA
La Sole è la prima grossa azienda della Marca, secondo fonti sindacali, a confrontarsi con le ripercussioni concrete della guerra tra Russia e Ucraina, anche per la particolare “geografia” della filiera internazionale in cui è inserita, che parte dalla Germania e si ramifica spesso verso l’Est Europa. Ma potrebbe non rimanere l’unica a lungo: nei prossimi giorni la dinamica innescata dalla vicenda ucraina potrebbe probabilmente registrare ulteriori evoluzioni. Con una differenza rispetto a quanto avvenuto negli ultimi due anni di pandemia: soprattutto nei mesi successivi allo scoppio dell’emergenza Covid, ma ancora fino a periodi recenti, varie industrie manifatturiere del territorio sono andate in difficoltà per la carenza fisica di materiali, semilavorati o componentistica (ad esempio la cosiddetta “crisi dei chips”), dovuta al crollo delle esportazioni dall’Estremo Oriente per le restrizioni anti-virus o per le tensioni nei trasporti intercontinentali. Ora la prospettiva è ribaltata rispetto alla crisi di forniture: qui è il committente delle nostre imprese a rallentare la propria richiesta. Magari perché i bombardamenti stanno impedendo l’arrivo di altri elementi e la catena di montaggio, a cui sono destinati anche i componenti nostrani, deve bloccarsi. Se non sono molte le società trevigiane ad avere sedi produttive in Ucraina e nelle zone limitrofe, ben più numerose sono le realtà, metalmeccaniche e non solo, che hanno tra i loro clienti principali grandi gruppi tedeschi, a loro volta più esposti nel quadrante delle ostilità Un effetto indiretto, come accennato, ma non trascurabile. A cui poi si somma quello delle esportazioni di prodotti finiti nella Russia colpita da sanzioni sempre più stringenti sui movimenti di merci e di denaro.