«Schiava dei dolori senza la cannabis, ma ora l'Uls non la fornisce più»

Lunedì 22 Gennaio 2018 di Francesco Campi
«Schiava dei dolori senza la cannabis, ma ora l'Uls non la fornisce più»
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ROVIGO - Artrite reumatoide, spondiloartrite anchilosante e neuropatia degenerativa la costringono a sopportare dolori persistenti, dovendosi sottoporre a interventi e trattamenti continui. Dopo tanti farmaci, decisa a dire basta alla morfina, la vita di Natascia sembrava aver conosciuto un'improvvisa svolta grazie alla cannabis terapeutica. Una storia di buona sanità italiana? Quello che è successo dopo va esattamente nel senso opposto. E proprio nella provincia di Rovigo, dove sorge il primo e più importante centro di ricerca pubblico in tema di canapa, compresa quella per uso medico: il Crea di viale Amendola.

«Dopo aver provato a mie spese la nuova terapia - spiega Natascia - le mie condizioni sono subito migliorate. E non solo a livello fisico, perché c'è stato un vero e proprio mutamento complessivo. Nel giro di un mese ho ricominciato a vivere, sono riuscita ad andare al mare e a fare la spesa da sola: chi mi sta vicino è rimasto impressionato dal cambiamento. Allora, visto che teoricamente questa cura dovrebbe essere passata anche dal Servizio sanitario nazionale, a settembre ho presentato tutte le carte all'Ulss e lì tutto si è fermato: rimpalli fra medici, scuse, affermazioni contrastanti. Fatto sta che ora la terapia si è interrotta e che sono tornata indietro, a stare sempre peggio, a non dormire la notte».

Uno dei problemi contro cui si è scontrata è che in questi mesi l'Italia, e non solo il Veneto, ha dovuto fare i conti con un aumento delle prescrizioni di cannabis a uso terapeutico, dai circa 100 chili di fabbisogno del 2016 si è passati ai circa 350 chili dello scorso anno, con la previsione di arrivare a 500 quest'anno, a fronte di una produzione nazionale da parte dell'Istituto farmaceutico militare di Firenze che al di là dei proclami, non si è rivelata all'altezza delle aspettative, e su un'esportazione limitata anche da parte della Bedrocan, la casa farmaceutica olandese che produce il costoso, ma efficace principio attivo.

«In realtà - spiega Natascia - a me dall'Ulss hanno detto che il Bedrocan, che prendevo in capsule, non c'era, ma sono riuscita a comprarlo, pagando 90 euro, fino a novembre, tramite una farmacia di Reggio Emilia. Dall'Ulss mi hanno procurato la Fm2, la varietà prodotta a Firenze, da prendere in decotto, ma non va bene: non mi fa niente, oltre a essere imbevibile. Fra l'altro, loro stessi mi avevano detto che non mi sarebbe servita. In sostanza sono mesi che ho interrotto la terapia dopo che ne avevo scoperto i benefici. In Polesine dovremmo essere in quattro in queste condizioni. Non è possibile venire abbandonati così: le ultime rassicurazioni parlano di metà febbraio. Spero che davvero la mia voce serva a far cambiare uno stato di cose che vede proprio lo Stato negare il diritto alla salute».

Della vicenda si è interessato anche il consigliere regionale Piero Ruzzante, ora confluito in Liberi e Uguali, che l'undici gennaio ha presentato un'interrogazione all'assessore veneto alla Sanità, Luca Coletto, proprio per chiedere «se con riferimento all'Ulss 5, sia o meno a conoscenza delle difficoltà di reperimento e somministrazione del Bedrocan; se rispetto a tale difficoltà di reperimento abbia o meno e intenzione di intervenire in tempi brevi; se per quel che concerne il reperimento di farmaci a base di cannabinoidi per il trattamento di indicazioni terapeutiche diverse da quelle coperte dal Servizio sanitario, abbia intenzione di intervenire anche attraverso la modifica delle linee guida adottate dalla giunta il 15 settembre 2016».
 
Ultimo aggiornamento: 23 Gennaio, 10:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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