Nel convento sull'isola di Arbe/Rab il miracolo è bellunese: «Salve grazie a loro»

Mercoledì 22 Novembre 2017 di Gabriele Pipia
Nel convento sull'isola di Arbe/Rab il miracolo è bellunese: «Salve grazie a loro»
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«Monsignore, ci spiace non poterla ospitare a pranzo. Purtroppo noi in tavola non abbiamo nulla». Comincia così, al tramonto degli anni Ottanta, una meravigliosa storia di solidarietà. Una vicenda che continua ancor oggi, a quasi trent'anni di distanza. Parte dal Veneto e arriva in Croazia, collegando Belluno e l'isola di Rab (in italiano Arbe). I protagonisti sono il vescovo bellunese dell'epoca, monsignor Maffeo Giovanni Ducoli, e le monache benedettine del convento di clausura di Sant'Andrea, il più antico della Dalmazia. Il prossimo anno compirà la bellezza di mille anni, e nelle scorse settimane le religiose hanno aperto le sue porte per far conoscere ad ogni visitatore la loro vita quotidiana.

Oggi le 12 suore sorridono felici raccontando con orgoglio questa lunga storia, ma c'è stato un periodo storico in cui dentro quel monastero c'era ben poco da sorridere. «Negli anni i benefattori non ci sono mai mancati - racconta ora Madre Giuseppina, badessa emerita di 79 anni - ma durante il Comunismo, nella Jugoslavia di Tito, è stata durissima. Siamo state isolate da tutto e facevamo la fame. Eravamo abituate a coltivare i prodotti dei nostri terreni per mantenerci, ma il regime ateo e anti-religioso ci confiscò tutti i terreni e parte del nostro meraviglioso edificio a strapiombo sul mare. La nostra foresteria fu occupata. Noi per decenni dopo la guerra battezzammo di nascosto i bambini, perché eravamo un punto di riferimento per tanti credenti, ma negli anni 80 rimanemmo proprio senza niente. Non sapevamo come sopravvivere e non avevamo nemmeno una goccia d'olio: nessuno ci aiutava e noi non avevamo alcun pasto. Eravamo isolate, ma non per scelta nostra».

Il Monastero millenario oggi potrebbe non esserci più, se in quel periodo le sue monache avessero continuato a fare la fame. Ad un certo punto, però, tutto cambiò: madre Giuseppina riapre l'album dei ricordi, torna indietro fino al 1989 e si emoziona raccontando l'intervento provvidenziale della Diocesi di Belluno-Feltre e di monsignor Ducoli. «Il Vescovo capitò nella nostra isola per caso - racconta - perché aveva problemi di salute e i medici gli consigliarono di stare vicino al mare. Sapeva ovviamente che noi parlavamo italiano. Lo ospitammo ma ci scusammo di non potergli offrire un pranzo, perché non avevamo nulla da mettere in tavola. Lui rimase molto colpito dalla nostra sofferenza, ci disse di non aver paura e di pregare per la sua comunitá. Tornato in Veneto si attivó affinché i fedeli della sua diocesi ci aiutassero».

In quel 1989, prima che a Berlino cadesse il Muro di Berlino decretando il tramonto del Comunismo, a Belluno e dintorni decine di famiglie furono toccate al cuore dal racconti di monsignor Ducoli. Iniziarono così raccolte di pasta e di farina, di carne, di riso e di qualunque altro genere alimentare. «Ci salvarono, perché a noi non era rimasto davvero niente. Grazie a loro non abbiamo più sofferto la fame - prosegue la priora madre -. Ogni giorno noi pregavamo per la diocesi di Belluno, e ancor oggi è così. Non dimenticheremo mai l'aiuto che ci hanno dato e non smetteremo mai di dire grazie». Il braccio destro del vescovo all'epoca era don Giorgio Lise, attuale arcidiacono di Agordo, che alla fine degli anni 80 era segretario di monsignor Ducoli.

 
Ultimo aggiornamento: 23 Novembre, 11:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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