Chi ha combattuto per la democrazia merita rispetto ma non ha il diritto di imporre le sue verità

Martedì 5 Febbraio 2019
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Caro Direttore,
anche quest'anno i mesi di gennaio e febbraio sono caratterizzati da due momenti che riportano alla memoria le tragedie del secolo scorso: l'Olocausto, nel Giorno della Memoria, e le Foibe, nel Giorno del Ricordo. Due eventi importanti che purtroppo vengono sempre letti in chiave retrospettiva mobilitando l'opinione pubblica di sinistra per il Giorno della Memoria mentre quella di destra si sente maggiormente coinvolta dal Giorno del Ricordo: quasi una contrapposizione. Niente può essere paragonato all'Olocausto, né in termini di vite umane sacrificate, né pensando alle idee che hanno portato alla Shoah. Ma nemmeno possiamo nascondere, come è accaduto, il dramma degli infoibati e di coloro che alla fine della seconda guerra mondiale sino visti cacciare dalle loro case solo perché italiani. Ciò che mi colpisce è come non si riesca ad accettare che la storia possa avere luci ed ombre e che il dolore di coloro che hanno visto i loro cari perire nelle foibe sia uguale a chi ha vissuto la deportazione nazifascista verso i campi di sterminio. Non può esserci una classificazione delle sofferenze ma solo una condanna per chi ha fatto soffrire i propri simili. Se riuscissimo ad attualizzare le riflessioni sulle tragedie del 900 rendendoci conto che purtroppo esse ancora oggi sono presenti nella nostra storia sia sotto forma di guerre che di sofferenze di vario genere, penso alla fame nel mondo oppure a coloro che fuggono dalla miseria per cercare una vita migliore; se traessimo insegnamento dal passato ecco che forse eviteremmo in futuro di dividerci e potremmo avere come popolo, finalmente, una memoria condivisa.

Maurizio Conti
Portogruaro (Venezia)

Caro lettore,
la memoria è per definizione soggettiva, sedimenta il ricordo di esperienze attraverso il filtro della propria soggettività. Già questo rende difficile parlare di memoria condivisa. A questo si aggiungono nel nostro Paese una frattura ideologica che non è mai stata sanata e che qualcuno al di là delle dichiarazioni di principio non vuole sanare. La Resistenza, nonostante la vulgata comunista, non è stata solo una guerra di liberazione dallo straniero tedesco, ma anche e talvolta prevalentemente una guerra civile; non ha visto protagonisti soltanto partigiani comunisti, ma una pluralità di soggetti culturali e politici. E come tutte le guerre civili, ha trascinato dietro di sé uno sciame di vendette, di storie private confuse a storie pubbliche. Ma ha avuto un senso preciso e un ruolo decisivo nella vita nazionale. Ed è di questo che oggi dovrebbero ragionare gli italiani. Senza equiparare chi ha contribuito a liberare l'Italia con chi era dall'altra parte, ma con la consapevolezza di ciò che è accaduto, anche degli errori e degli orrori. Non mi sembra che a oltre 70 anni di distanza ci sia da parte di tutti questa volontà. La negazione o la minimizzazione delle foibe ne è la testimonianza. Chi ha combattuto per la democrazia merita rispetto e gratitudine. Ma non ha il diritto di stabilire il confine tra il bene e il male. E non può imporre le sue verità.
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