Voto M5S salva Salvini, Grillini spaccati: «Ora chi vota in dissenso è fuori»

Martedì 19 Febbraio 2019 di Simone Canettieri
Voto M5S salva Salvini, Grillini spaccati: «Ora chi vota in dissenso è fuori»
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I parlamentari, non tutti, si sciolgono in un applauso appena Luigi Di Maio entra nella saletta del gruppo scortato dai suoi ministri e dice che «con questo risultato i nostri iscritti hanno valutato che c’era un interesse pubblico nella vicenda Diciotti». E in un momento, il giovane capo politico capisce di essere uscito indenne dal voto di Rousseau in versione forche caudine 2.0. O meglio: il Movimento è spaccato, quasi come una mela, ma l’alleanza di governo regge e dunque si va avanti. È il culmine di una giornata ricca di tensioni, con il vicepremier costretto ad annullare una cerimonia alla Federico II di Napoli per ritornare di corsa nella Capitale. Deve gestire da Roma gli umori dei suoi. Da sondaggi interni e passaparola il risultato è in bilico. «E rischia di cadere giù tutto», si sfoga. Anche perché proprio Di Maio si è esposto in prima persona con Salvini e tutto è appeso. Spesso il ministro dell’Interno in questi mesi si è sfogato così: «Ma Luigi i suoi li regge?». A dubbi del capo M5S si aggiungono quelli del premier Conte sul voto on line, prima fatti filtrare e poi smentiti da Palazzo Chigi. Fatti che testimoniano una grande fibrillazione.

L’ATTACCO
Paola Taverna, sempre più falco in chiave governista, è la prima a prendersela contro chi, anche tra i parlamentari, si è speso per votare a favore dell’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini: «Talebaniiiii! Siete dei talebaniiii!», urla. E poi la vicepresidente del Senato lancia un messaggio chiaro in vista non tanto del voto di oggi in giunta, ma in prospettiva verso il secondo passaggio atteso a Palazzo Madama a fine marzo. Il suo ragionamento è: chi voterà contro il parere degli iscritti sarà fuori dal Movimento. Detta così sembra una rasoiata indirizzata a Paola Nugnes ed Elena Fattori (assenti ieri sera) ma dietro al 41% di sì all’autorizzazione a procedere ci sono una serie di senatori che ne fanno una questione di principi. In giornata, Nicola Morra presidente della commissione Antimafia, su twitter aveva mandato uno dei messaggi: «Mi aiuta il figlio del Caos: Pensaci Giacomino, pensaci!». Una citazione di Luigi Pirandello che raccoglie tanti consensi. Emanuele Dessì, senatore alla prima legislatura, in giornata dice a un collega: «Faremo quello che ci dirà la base». 

In Transatlantico sono tanti a scuotere la testa e a confessare che non si può salvare Salvini. Anche Grillo è costretto a una rettifica dopo l’ironia di domenica. Poi ci sono i sindaci delle principali città grilline (Roma, Torino, Livorno) in campo contro il ministro dell’Interno e anche diversi ministri che si dicono scettici. Di fatto da ieri intorno a una situazione così deflagrante è successo un piccolo big bang: si è creata una maggioranza (Di Maio), ma anche una vasta minoranza. Che va da Fico, l’ala sinistra, e arriva fino a Lombardi, l’ala destra mettendoci in mezzo per esempio anche Virginia Raggi. Un’uscita, quello della prima cittadina, vissuto come uno sgarbo dal vicepremier. Tanto che il capo politico le manda a dire che «cadono le braccia, quando i nostri sindaci si fanno strumentalizzare così». Ma il Movimento è un magma. E i dissidenti, dietro alla richiesta di anonimato, ci vanno giù pesanti: «Questo voto - ragiona una deputata grillina alla prima legislatura - questo è un messaggio ai vertici, e dunque a Luigi».

L’ASSEMBLEA
Perché su un binario parallelo a quello di Salvini corre anche la crisi di consensi che si è affacciata alle ultime regionali in Abruzzo. E che Di Maio mette in conto, pubblicamente, anche in vista di domenica in Sardegna. Non a caso dice: «Francesco Desogus farà un risultato nelle sue possibilità». Un modo per mettere le mani avanti per il secondo ko nel giro di due settimane. 
Dunque al capo non rimane che rilanciare sulla nuova struttura del Movimento, che si farà sempre più partito: «Non abbiamo un’organizzazione verticale sui temi: non basta presentare una lista, abbiamo bisogno di un tessuto di amministratori sui territori».

Anche il nuovo organigramma, assicura Di Maio, passerà dal voto di Rousseau, «che fa parte del nostro dna». Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri, annuncia anche una «scuola politica con l’obbligo di mandato da consigliere comunale». Prende largo dunque l’idea di un partito pesante, e non più fatto di rete e banchetti la domenica. Una militanza diversa con una lunga preparazione. Un partito appunto, che da ieri sembra avere una maggioranza e una minoranza.

Ultimo aggiornamento: 14:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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