Minacce e proiettili a pm e testimone, ma i giostrai restano liberi

Giovedì 10 Gennaio 2019 di Angela Pederiva
Minacce e proiettili a pm e testimone, ma i giostrai restano liberi
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Nemmeno 2 buste con proiettili, inviate sia al super-testimone che ha fatto riaprire il caso, sia al pm che conduce l’inchiesta, bastano a mandare in prigione i giostrai sospettati di aver ucciso un gioielliere e di aver lasciato morire un loro complice. A dirlo è la sentenza con cui la Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura di Mantova, contro l’ordinanza con cui il Tribunale di Brescia aveva respinto la custodia cautelare a carico dei 5, indagati per la sanguinosa rapina del 19 dicembre 1996 a Suzzara. Una vicenda anche un po’ padovana, visto che a più di vent’anni dai fatti è finito sotto accusa pure Gionata Floriani, nato a Cittadella e residente a Busiago di Campo San Martino.
IL COMMANDO
Gli inquirenti lombardi contestano al 41enne di aver fatto parte del commando che, durante l’assalto all’oreficeria del piccolo centro mantovano, prima assassinò il commerciante Gabriele Mora e poi scaricò il bandito veronese Rudi Casagrande davanti all’ospedale di Thiene, ormai prossimo al decesso a causa delle ferite riportate nel conflitto a fuoco. Secondo la tesi accusatoria, con lui ci sarebbero stati anche i vicentini Adriano, Danilo, Giancarlo e Stefano Dori. A chiamarli in causa, due decenni più tardi, erano state le rivelazioni di un nomade e le intercettazioni telefoniche. Tutti riscontri ritenuti «idonei a integrare i gravi indizi di colpevolezza», ma insufficienti tanto per il Tribunale di Mantova quanto per il Riesame di Brescia a giustificare le esigenze cautelari, al punto che la stessa Suprema Corte aveva successivamente escluso l’attuale sussistenza dei rischi di inquinamento delle prove e reiterazione del reato.
L’IMPUGNAZIONE
A quel punto era però scattata una nuova impugnazione da parte del procuratore, sulla base di un elemento nuovo e inquietante, che trapela ora dalle motivazioni della Cassazione: il recapito di buste con proiettili sia al testimone, che al pm, fra l’altro proprio nel giorno in cui il magistrato aveva sentito in audizione i genitori del giostraio morto, i quali avevano riferito «di non ricordare o di disconoscere il contenuto di conversazioni tra loro captate» e per questo avevano rifiutato di sottoscrivere il relativo verbale. Ma secondo gli “ermellini”, pur convinti che quegli atti intimidatori fossero «rivolti a contrastare gli sviluppi delle indagini», i giostrai indagati «potrebbero essere tutti estranei all’ideazione e all’esecuzione» delle minacce. Per i giudici a mandare il grave avvertimento potrebbero anche essere state altre persone, «che ugualmente avrebbero potuto sentirsi in pericolo, personalmente o per ragioni affettive», a causa degli accertamenti. E siccome «non può farsi gravare a carico di taluno la tutela di una sorta di rischio ambientale», i sospettati tali rimangono, ma liberi.
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