Dolcetta: «La mia nomina? Segnale
di forte discontinuità col passato»

Domenica 29 Novembre 2015 di Maurizio Crema
Stefano Dolcetta, 66 anni,
VICENZA - «La mia nomina è un segnale di forte discontinuità col passato. Questa banca ha rischiato grosso e ora si gioca il futuro. La trasformazione in spa che verrà decisa nell’assemblea del 19 marzo del 2016 è un passaggio di legge. La quotazione in Borsa non è un obbligo ma una necessità: come potremo altrimenti reperire il miliardo e mezzo che ci serve per stabilizzare la situazione e rilanciarci? So che sarà un sacrificio per i soci ma sono sicuro che con il piano industriale messo a punto dal consigliere delegato Francesco Iorio l’istituto tornerà a fare utili e quindi il titolo in Borsa si apprezzerà, anche con il sostegno della Bce contrariamente a quanto qualcuno ha sostenuto su alcuni giornali locali».

Stefano Dolcetta, 66 anni, è l’imprenditore vicentino che ha preso il posto di Gianni Zonin alla guida della Popolare di Vicenza. Dopo 19 anni di regno incontrastato del re del vino oggi la banca berica passa a un industriale e a una famiglia storica: «Fu mio bisnonno il primo azionista e io lo sono ancora come l’azienda di famiglia, la Fiamm. Ma siamo piccoli soci anche di Veneto Banca - spiega Dolcetta a pochi giorni dal cda che l’ha nominato presidente della Popolare che si trasformerà in spa il 19 marzo del 2016 e approderà in Borsa in aprile con contestuale aumento di capitale da 1,5 miliardi -

Come investimento non è stato un successo alla luce degli ultimi bilanci. Ma non abbiamo mai venduto le nostre quote in passato. Questo per dire che non ho interessi particolari da difendere. Voglio aggiungere anche che la gestione di una spa non ha particolari problemi come ho letto di recente».
Presidente Dolcetta, c’è chi dice che lei ha un incarico a tempo: in primavera lascerà la Popolare di Vicenza?
«In maggio o giugno, quando si completerà il percorso e saremo in Borsa ci saranno altri soci. Saranno loro che dovranno decidere del mio incarico, come credo anche di quello del consigliere delegato Francesco Iorio. In Confindustria il mio mandato di vice presidente terminerà anche prima e ho deciso di proseguirlo proprio perché ormai è in fase di completamento».
Molti soci sono arrabbiati, vedranno i loro investimenti ridotti in maniera drastica con la quotazione in Borsa, si parla di valori intorno ai 10 euro dai 48 attuali. Lei che può dire a questi soci, e sono migliaia, che si sentono traditi?
«Bisogna essere realisti. Il valore della banca è quello che è. Questa banca aveva una capitalizzazione tra le più alte d’Italia, fuori mercato. Quando Unicredit e il Banco Popolare perdevano il 70% in Borsa la BpVi aumentava il valore delle sue azioni. La crisi economica complessiva ha bloccato consumi, investimenti, ovvio che questa situazione si ripercuote sul valore delle azioni».
Si doveva svalutare prima?
«Non ero nella banca, non ho elementi per rispondere alla domanda. Posso solo dire che oggi la situazione è molto difficile, ma con il piano messo a punto da Iorio possiamo farcela a salvarci e a ripartire. Il primo contatto con il consigliere delegato è stato credo due mesi e mezzo fa. Ho pensato tanto a lungo alla proposta di diventare presidente, ho valutato le difficoltà, i rischi. Mi hanno convinto la sua carica e la sua professionalità».
Ha sentito Zonin? È suo amico?
«Io mi sono sempre occupato di attività industriali. Lo conosco. Quando l’azienda ha avuto bisogno della Banca, siamo stati valutati per la credibilità del nostro piano, non per le amicizie altolocate. Oggi, la BpVi è uno dei tanti istituti con cui lavoriamo, c’è anche Veneto Banca, come altri nazionali e stranieri. L’amicizia è un’altra cosa».
Ci saranno altri cambiamenti a livello di top manager?
«Credo di si, ma non posso entrare nelle scelte che sono di Iorio. Di sicuro posso dirle che il mio gruppo, la Fiamm, e una banca come questa hanno problemi gestionali simili: noi abbiamo 3mila dipendenti, qui ce ne sono più di 5mila. Sono organizzazioni complesse, che hanno bisogno di una struttura chiara, impegni precisi. E trasparenza. La Borsa ci aiuterà in questo e darà la possibilità a chi vuole di poter vendere le sue quote. Sarà anche l’occasione per far entrare soci stranieri. Si può discutere se le Popolari potessero autoregolarsi prima, ma ormai c’è una legge e bisogna rispettarla. E poi la banca del territorio per me non ha mai avuto molto senso: tutte le banche vogliono fare le banche del territorio. Ormai non ci sono più rendite di posizione, l’importante è essere efficienti, trasparenti e fare meglio dei concorrenti».
La metà dei vostri 120mila azionisti sono vicentini, non è favorevole a un nocciolo duro di soci locali?
«Quando si diventa spa le azioni si contano. Credo che vi sarà un tetto del 5% dei diritti di voto e questo potrebbe lasciare spazio a un nucleo di soci locali. Ma oggi il mondo è cambiato, l’azione della Popolare non è più quell’investimento certo dei tempi del mio bisnonno».
Capitolo alleanze: una volta quotata, pensa che la Popolare possa fondersi con Veneto Banca?
«Io auspicherei che BpVi potesse rimanere da sola, anche se il mercato del credito è maturo, ci sono pochi margini. Sarà una questione di dimensione, credo quindi che sarà difficile che Vicenza possa rimanere da sola. L’importante è che se si farà, si faccia un’aggregazione che crei valore per gli azionisti».
Ci saranno altre sorprese dai conti 2015? L’ultima trimestrale come è andata?
«Al momento non vedo sorprese in vista, siamo in linea col primo semestre. Il deflusso della raccolta si è fermato, anzi è leggermente in crescita. Gli accantonamenti fatti erano necessari e ora siamo nella media europea. Penso che il bilancio 2015 si chiuderà con la perdita di un miliardo».
Vede errori nella gestione passata?
«Quando le cose vanno male è evidente che l’azienda ha avuto problemi. Se poi questi errori sono di natura diversa sarà la magistratura a doverlo decidere. Comunque non è una questione di mia competenza: io mi voglio occupare del futuro non del passato».
Ultimo aggiornamento: 15:57