La Strada delle Gallerie, sul Pasubio, entra di diritto nel novero delle strade-mito: non a caso nonostante la lontananza e l’asperità essa richiama ogni anno dalle 30 alle 35mila persone, anche dall’estero, tanto che associazioni ed istituzioni locali si stanno attivando per chiederne l’inserimento fra i siti Unesco patrimonio dell’umanità. Per il momento la strada, con le sue 52 gallerie scavate sotto i pinnacoli e le creste dai minatori del Genio a partire dal febbraio 1917 per consentire un più agevole accesso al fronte, sarà al centro di una grande mostra promossa il prossimo anno (da marzo a settembre) dal Cai di Schio col Comune e l’Unione Montana per celebrarne il centenario. Curata da Claudio Rigon, l’esposizione "La Strada delle Gallerie ha cento anni", in programma a Palazzo Fogazzaro, si concentrerà su tre aspetti: la costruzione dell’opera, l’affermarsi del suo mito negli anni Venti, la sua fruzione, rappresentazione e gestione nei decenni successivi.
«É sempre difficile capire come si formano i miti - spiega Rigon - Conta la bellezza dei luoghi, ma non basta a spiegare la fortuna di questa strada, che iniziò quando la guerra era ancora in corso: già nel settembre del 1917, infatti, uscì il libretto del tenente Michele Campana "Un anno sul Pasubio" che aveva un capitolo ad essa dedicato».
Rigon, vicentino, è noto per aver pubblicato nel 2009 con Einaudi il piccolo, indimenticabile libro "I fogli del capitano Michel", in cui a partire da alcuni "pizzini" rinvenuti al Museo del Risorgimento di Vicenza riscriveva in presa diretta un capitolo poco noto della guerra sull’Altopiano; poi si è specializzato nel trarre dalle immagini scattate durante il conflitto dai fotografi militari (italiani e austriaci) dei racconti vivissimi sui territori e gli uomini (civili e militari) travolti dai combattimenti. Ora sta trasferendo
«Mi pare che a far amare questa strada - conclude Rigon - sia stato il senso di orgoglio per la sua audacia che essa ha ispirato fin dall’inizio nei nostri soldati. A differenza di quanto accadde sull’Altopiano, territorio più vasto e percorso in avanti e indietro dalle armate contrapposte, sul Pasubio anche gli italiani, visto che non potevano avanzare, hanno "fatto casa", alla pari con gli austriaci, attrezzando la montagna per viverci a lungo. La strada suscitava in loro un sentimento di appartenenza, che si è riverberato sul futuro».
Per "testare" questo affetto, a chiudere la mostra saranno i contributi dei visitatori, che potranno esporre le loro foto in un grande parallelepipedo che avrà anche il compito di documentare come si frequenta, si vede e si racconta la montagna nell’era dei telefonini.