Famiglia Colbachini, la fonderia dei Papi e quel rintocco nella storia

Martedì 6 Marzo 2018 di Vittorio Pierobon
Famiglia Colbachini, la fonderia dei Papi e quel rintocco nella storia
1
Per chi suona la campana? Ormai per pochi, sta diventando un oggetto da museo. Lo sa bene Giovanni Aldinio Colbachini, 62 anni, padovano, discendente di una famiglia che le costruisce da tre secoli. «Le campane sono la nostra vita. Da bambino mio padre mi mandava a fare le vacanze in fonderia, in mezzo agli operai. Un'esperienza molto formativa, vederle nascere dalla colata di bronzo è un'emozione indescrivibile». Colbachini racconta la storia dei suoi antenati, pionieri dell'imprenditoria veneta. È seduto nel suo ufficio in villa Fogazzaro a Montegalda, in provincia di Vicenza. Un edificio neoclassico con un immenso parco con alberi censiti dal Wwf, che era di proprietà di Giuseppe Fogazzaro, zio di Antonio, l'autore di Piccolo mondo antico, che in questi luoghi ha ambientato Piccolo mondo moderno.

La famiglia ha acquistato villa e parco nel 1991, salvandoli dal degrado del tempo e riportandoli agli antichi splendori, rilanciando anche le attività agricole (si producono vino, liquori), ma soprattutto dando vita al Museo Veneto delle campane, di cui Giovanni Colbachini è presidente. Uno scrigno che raccoglie oltre 250 manufatti provenienti da tutto il mondo, Cina e Africa comprese.
«Ora è cambiato tutto spiega con un velo di amarezza Ci sono meno preti e meno chiese aperte, il suono delle campane viene addirittura considerato un disturbo, i campanari sono stati soppiantati dal computer che regola il suono. Anche per questo abbiamo creato questo museo, per tramandare una tradizione, direi una cultura, che altrimenti rischia l'estinzione».

Fare campane è un'arte, un mestiere che nei secoli non è cambiato molto: «La tecnica è sempre la stessa che usava Benvenuto Cellini per le sue opere. Il punto cruciale è la fusione del bronzo, che deve essere composto dal 78% di rame e dal 22% di stagno. Se la lega è buona la campana può durare più di cento anni. Nel museo ne abbiamo una del 1267 ancora funzionante. Una volta l'artigiano la fondeva direttamente sotto il campanile, mesi di lavoro. Ma anche oggi, in fonderia, con i forni a 1100 gradi, le varie fasi di produzione richiedono almeno un mese, nonostante l'aiuto dei macchinari moderni. Sa cosa è cambiato? Solo il materiale per lo stampo: una volta si usava, argilla impastata con peli e sterco di cavallo. E i risultati erano migliori».

Nelle cinque sale del museo si scopre quanto la vita delle campane si intrecci con quella dell'umanità. Lo testimoniano le incisioni, gli sfregi del tempo e dell'uomo. I rintocchi hanno scandito la storia dell'umanità, il loro suono è stata la colonna sonora dei grandi avvenimenti: guerre, vittorie, allarmi e adunate venivano annunciate da battiti di campana. Erano l'orologio che regolava il ritmo della giornata. «Si può dire che le guerre si facevano anche con le campane racconta Colbachini Anzi le campane andavano in guerra, trasformate in cannoni. Durante la Prima e la Seconda Guerra mondiale ne vennero requisite a centinaia per essere fuse per ricavarne bocche da fuoco. Dopo il conflitto i cannoni venivano fusi nuovamente e il bronzo tornava ad emettere un suono più dolce».

Ma quando si parla di campane, più che alle guerre si pensa alle chiese. La Colbachini si fregia del titolo di Fonderia pontificia in virtù di una decisione di Papa Leone XIII nel 1898, poi confermata da Papa Pio X. «Un grande onore dal valore soprattutto simbolico, perché da anni ormai le ordinazioni del Vaticano non ci sono e i parroci preferiscono spendere i soldi in opere diverse». Resta il marchio di qualità, una certificazione che in passato ha fruttato molte commesse. Basta fare un giro per i campanili del Veneto per averne conferma.
 
Ultimo aggiornamento: 7 Marzo, 08:32 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci