Quel veneto di 43 anni che guida il più antico museo del mondo dedicato alla civiltà faraonica

Venerdì 28 Settembre 2018 di Donatella Vetuli
Christian Greco, 43 anni, vicentino di Arzignano
Lo chiamano il Giovane Faraone. Christian Greco, 43 anni, vicentino di Arzignano, dirige il museo Egizio di Torino dal 2014, vigilia della completa ristrutturazione di allestimenti e percorsi espositivi che hanno sfiorato il bilancio, nel 2017, di quasi 900 mila visitatori. 

Il record suggella l'irresistibile carriera di un giovanotto cresciuto all'ombra di architetture palladiane, diplomato al liceo Pigafetta del capoluogo berico, espatriato poco più che ventenne in Olanda, a Leiden, per un master, e non senza sacrifici per mantenersi agli studi, anche facendo le pulizie all'università. A Torino, però, ha battuto cento ferratissimi concorrenti, e lo scettro dell'Egizio è andato proprio a lui, a 39 anni, ma già un nome nel mondo.
Domani a Verona alle 21 riceverà l'ennesimo riconoscimento, il Premio Masi - Civiltà Veneta per l'impegno non solo nella ricerca e nella conservazione delle vestigia di civiltà scomparse, ma anche nel sostenere e diffondere una visione nuova dei musei, quali luoghi di incontro e di educazione nell'ambito di una lettura sempre rinnovata del nostro passato.

Direttore Greco, cosa significa guidare il più antico museo del mondo dedicato alla civiltà faraonica e che vanta la seconda più grande collezione di antichità egizie? 
«Per me rappresenta un onore e una grandissima responsabilità».

Egittologo di fama internazionale, ha trasformato la sua passione in una professione. Come è riuscito nella rara impresa? 
«Con molta fatica. Ho studiato: due lauree, un dottorato, una scuola di specializzazione. Sono diventato egittologo a 34 anni, era il mio sogno. Grandi rinunce economiche, grandissima umiltà a laurearmi, a 23 anni. Ed ero consapevole che non avrei trovato un lavoro nel mio settore. Sono stato fortunato. Vede, molto spesso si fa una sovrapposizione tra il ruolo e l'essenza ontologica di una persona. Oggi sono direttore al museo di Torino, ma continuerò sempre a essere un egittologo. Non c'è bisogno di un ruolo per sentirsi realizzati nella vita. E occorre avere molta umiltà nello svolgere un'occupazione, ciò permette di acquisire maggiore professionalità». 

Da ragazzo si è rimboccato le maniche per seguire i suoi studi.
«Ero alla reception di un hotel, giorno e notte. Ho fatto anche le pulizie in un campus, all'università di Chimica. Ho capito cosa è la dignità del lavoro».

Da Vicenza all'ateneo di Pavia, quindi in Olanda, prima come studente e poi come direttore del museo nazionale di Leiden. Dopo 17 anni, il rientro in Italia. Ma non le è mai piaciuta la definizione di cervelli in fuga o di ritorno. Perché?
«La cultura è universale. Il percorso di formazione all'estero permette di crescere moltissimo, di capire che un'opinione non è assoluta, ma che esistono diversi punti di vista. Bisogna credere molto di più nei giovani e nella ricerca, che è fondamentale per la tutela del nostro patrimonio».

Come è nata, e quando, la sua passione per la civiltà del Nilo? 
«Avevo 12 anni, i miei genitori mi portarono in un viaggio in Egitto. Folgorato dalle bellezze del paesaggio». 

E il suo primo scavo? 
«In Siria nel 1997, mentre la scoperta a cui sono più legato è avvenuta a Saqqara nel 2001 nel complesso funerario».

E a Saqqara, a sud de Il Cairo, oggi è co-direttore della missione archeologica. Affondare le mani nella sabbia è così importante per un direttore di museo? 
«Assolutamente fondamentale lavorare sul campo».

La Treccani la definisce il Giovane Faraone di Torino. Si ritrova in questa veste? 
«Si esagera un po' (ride, ndr). Sono soltanto uno dei custodi, insieme ai miei collaboratori, della cultura faraonica».

Come mai il museo continua ad affascinare visitatori di tutte le età e provenienze? E cosa risponde a un bambino che le chiede della maledizione di Tutankhamon? 
«Bisognerebbe dedicare uno studio antropologico sul perchè il museo eserciti questa attrazione, la gente continua ad essere incantata dalla civiltà egizia e dai reperti delle nostre collezioni che sono ancora ben conservati. È un mondo in cui il tempo non ha avuto ragione, sopravvive al decadimento. In quanto alla maledizione non esiste, è solo una storia inventata da chi cercava di fare del sensazionalismo».

Nuovi sconti al museo per i cittadini di lingua araba, iniziativa su cui Giorgia Meloni, leader di Fratelli di Italia, aveva polemizzato nei mesi scorsi?
«Continueremo nelle promozioni all'Egizio, perchè il museo è aperto a tutti. È inserito all'interno di una polis e a tutti parla».
Ultimo aggiornamento: 19:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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