Copyright, Rachele Bonani, ceo di Licensync: «Così difendo chi crea podcast e notizie web»

Licensync è il primo organismo di gestione collettiva ad amministrare il diritto d’autore per le opere native digitali

Mercoledì 15 Novembre 2023 di Paolo Travisi
Copyright, Rachele Bonani, ceo di Licensync: «Così difendo chi crea podcast e notizie web»

Gli italiani sempre più innamorati del podcast. Ce lo dicono i numeri, che attraverso sondaggi e report, si muovono ancora in una zona frammentata, dove non esiste un indicatore unico come l’auditel per la tv.

In Italia, nel 2022, i fruitori di podcast hanno superato gli 11 milioni di utenti, secondo l’indagine Ipsos Digital Audio Survey, quasi 2 milioni di utenti in più rispetto al 2021, dove il 43% degli ascoltatori è costituito da giovani under 35. Ma l’autore di un podcast, fino ad oggi, poteva guadagnare vendendo il suo prodotto a piattaforme di distribuzione, tramite contratti editoriali, o nel caso di produttori indipendenti dallo streaming su Spotify e simili che poggiano su pubblicità ed abbonamenti.

Ma un creatore di podcast è a tutti gli effetti un autore. E i diritti d’autore? Ne abbiamo parlato con Rachele Bonani, classe ‘79, onlife manager, web content creator e podcaster, autrice della serie Non ci resta che tifare e Cyberbullipod, e soprattutto founder e Ceo di Licensync, il primo organismo di gestione collettiva italiano e internazionale ad amministrare il diritto d’autore per i digital content, le opere native digitali. «Licensync - racconta la specialista nel settore dell’innovazione e media in ambienti emergenti, abilitati al 3D con sei anni di esperienza nel diritto d’autore come coordinatore SIAE del servizio clienti e business data analyst presso la divisione licenze online - nasce quest’anno dall’intuizione di un gruppo di podcaster, web content editor ed esperti tecnici con lunga esperienza nella Siae, perché ci siamo accorti di un’esigenza non ancora intercettata, quella dei diritti d’autore per contenuti nativi digitali».

Ma solo di recente è stata recepita una direttiva europea ed introdotta nel sistema normativo italiano, è così?

«Nel 2014 il Parlamento europeo ha approvato la cosiddetta Direttiva Barnier, dal nome del suo promotore, in Italia recepita con il decreto 35 del 2017, che di fatto ha aperto la concorrenza del diritto d’autore nel nostro Paese, scardinando il monopolio della Siae e permettendo la nascita di Licensync. Infine, è stata recepita anche la direttiva copyright, con il decreto 177 del 2021, che posiziona i repertori autoriali non più solo sul mercato fisico, ma principalmente in quello liquido, allargando la possibilità degli autori che fanno parte della cosiddetta Creator Economy, tra cui gli influencer, di guadagnare non più solo dalla pubblicità e dal crowfunding, ma anche dal diritto d’autore attraverso Licensync».

Quali sono le nuove professioni che potranno avere questa tutela?

«Tutti coloro che producono contenuti per il web, i cosiddetti content creator che si declinano in podcaster, vodcaster o vlogger e blogger, ma inquadrati all’interno di testate giornalistiche. La tutela di questi autori è molto importante perché se fino ad oggi l’attenzione era rivolta principalmente al repertorio musicale online, in futuro si lavorerà sempre di più sul web. Licensync è il primo organismo di gestione collettiva, riconosciuto nell’elenco Agcom, e siamo i primi al mondo a riconoscere le royalties sui podcast nativi digitali per la parte drammaturgica, cioè quella scritta dagli autori podcast, e siamo i primi in Italia a raccogliere le royalties per le pubblicazioni web a carattere giornalistico».

Quindi anche i giornalisti del web possono rivolgersi a Licensync?

«La direttiva copyright riconosce che agli autori giornalisti sia rilasciata una quota del 2/5% del diritto d’autore, questo è stato stabilito per legge, ed è un nuovo inizio anche per il mondo del giornalismo».

Come funziona la tutela d’autore di un podcast?

«Il meccanismo è lo stesso della musica, prendiamo il mandato dall’autore, dopodiché facciamo sottoscrivere le licenze alle varie piattaforme titolari del sito o del servizio che diffondono l’opera. Il repertorio tracciato e certificato deve essere utilizzato, ma dobbiamo sapere dove e come, ed avere una reportistica dalle piattaforme».

Che tecnologie applicate per proteggere queste opere dall’uso illecito, soprattutto in vista della massiccia diffusione dell’intelligenza artificiale?

«Stiamo costruendo il nostro database di opere native digitali con tecnologia blockchain, perché vorremmo realizzare l’NFT di ogni opera che ne certifichi la paternità e la proprietà intellettuale e metta a sistema i diritti. La blockchain è proprio la chiave per proteggere le opere umane, per evitare che un domani un sistema di IA integri, elabori o sia allenato con quel contenuto digitale; le nostre opere avranno un bollino liquido all’interno del software che impedisce sia l’utilizzo per addestrare l’IA, sia il plagio o la contraffazione. Inoltre siamo i primi ad avere realizzato un negozio nel Metaverso, per l’acquisto delle licenze, il pre-listening e la preview».

Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 07:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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