Luca ha 4 anni e non dice mai «mamma» né «papà». Non parla, l’unica parola che ha imparato a pronunciare è «acqua» quando ha sete. Non respinge il contatto fisico anzi, ha un grande bisogno di abbracci e di coccole. Non può rimanere mai solo, perché è affetto da una forma severa di autismo. Potrebbe migliorare, anzi stava migliorando, anche per merito della sua insegnante di sostegno, in una scuola materna alla Balduina.
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Adesso però quell’insegnante di sostegno non c’è più, è assente da un mese e forse mancherà fino alla fine dell'anno, sta di fatto che un supplente non si trova. Quindi Luca non ha più un docente che si dedichi a lui e in classe resta in genere parcheggiato, ad aspettare che arrivi l’ora di tornare a casa.
Il caso di Luca non è certo l’unico, quasi in ogni scuola di Roma si presenta lo stesso problema, gli insegnanti di sostegno sono pochi e se ne manca uno si riesce a sostituirlo – quando va bene - con un supplente non specializzato, magari chiamato con la procedura della “messa a disposizione”, che vuol dire assumere un insegnante che non ha l'abilitazione per insegnare. Quando va bene, perché quando va male invece non arriva neanche quello, proprio come sta succedendo ora a Luca.
Le 20 righe di questa rubrica non bastano certo a spiegare tutti i motivi burocratici, organizzativi e culturali per cui in Italia non ci sono abbastanza docenti di sostegno. Possiamo solo registrare il paradosso di un Paese in cui tante persone cercano un lavoro e tanti lavori cercano una persona, senza incontrarsi mai.
pietro.piovani@ilmessaggero.it
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