Orologi, cene a base di pesce, ma anche denaro in contanti e un abbonamento gratis per lo stadio. Per la Procura di Roma era questo il prezzo per i favori di due funzionari del Campidoglio che adesso rischiano il processo per essersi messi al servizio, tra gli altri, di alcuni esponenti della famiglia Tredicine, in particolare Dino e Mario, imputati insieme a loro e insieme a un altro parente.
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I PUBBLICI UFFICIALI
Ma ecco i fatti contestati dagli inquirenti. Il periodo sotto inchiesta va dal 2006 al 2019. All'epoca, fino al 19 febbraio di 3 anni fa, Bellucci era responsabile degli Uffici normativa, disciplina e rotazioni del Dipartimento sviluppo economico. Per l'accusa, si sarebbe messo a disposizione dei fratelli Dino e Mario Tredicine, il secondo era presidente dell'Unione Provinciale Venditori al Dettaglio. In cambio di favori, anticipazioni sui bandi e informazioni riservate, il dirigente avrebbe ottenuto «denaro e pranzi a base di pesce», si legge negli atti. Una tematica era centrale nelle conversazioni intercettate: la gestione dei turni degli ambulanti riferiti alle rotazioni, fondamentale per accaparrarsi le postazioni più redditizie. Per l'accusa, Bellucci, assistito dagli avvocati Paolo Vella ed Emiliano Maio, avrebbe anche preparato atti per conto di Dino Tredicine - difeso dagli avvocati Domenico Naccari e Domenicantonio Cavallaro -, da indirizzare al Dipartimento. Al fratello Mario avrebbe invece riferito informazioni riservate «relative ad attività svolte dalla Polizia Locale», in particolare ispezioni in programma a Villa Borghese e al Pincio.
I REGALI
In cambio di favori fatti ai sindacalisti, i pubblici ufficiali avrebbero poi ottenuto un abbonamento alla A.S. Roma e anche un «pensierino», cioè denaro in contanti, scrivono i pm nel capo di imputazione. I regali sarebbero arrivati anche per compiere altri atti illegali, come non revocare licenze e non procedere con multe e sanzioni. Avrebbero pure ricevuto pagamenti mensili per garantire «le migliori postazioni di vendita, in violazione dei regolamenti comunali», è scritto nel capo di imputazione. «Quanto paghi ogni mese a loro?», aveva detto un indagato intercettato. La risposta: «Loro mi fanno i favori». Poi c'erano i riscossori che, «con violenze e minacce», ottenevano denaro dai commercianti, soprattutto stranieri. A un venditore bengalese, per esempio, era stato detto che, se si fosse rifiutato di pagare, i suoi figli sarebbero stati rapiti.
Le tracce dei pagamenti erano state trovate dalla Finanza durante una perquisizione: era tutto annotato su un'agenda. Gli appunti riguardavano anche i piani per le rotazioni: i turni per occupare di volta i volta i posteggi venivano stabilite con il benestare, per l'accusa, del dirigente capitolino finito sotto inchiesta. In tutto, con i pagamenti ottenuti - e spesso estorti - ai vari commercianti, il gruppo avrebbe messo in tasca almeno 864.585 euro.
C'è anche un'altra accusa che viene contestata a un componente della famiglia Tredicine, Elio, assistito dall'avvocato Sonia Santopietro. Per i pm, insieme a un sindacalista e all'addetta al controllo della qualità dei prodotti che sarebbero finiti sulle bancarelle in occasione della Festa della Befana a piazza Navona, avrebbe ingannato gli uffici capitolini, presentando una perizia falsa che attestava la corrispondenza agli standard di qualità e sicurezza della sua merce. I prodotti erano poi stati sequestrati dalla Polizia Locale il 28 dicembre 2018.