Roma, prova del Dna per il killer delle tre rom: è l'ora della verità

Lunedì 5 Giugno 2017 di Valentina Errante
Roma, prova del Dna per il killer delle tre rom: è l'ora della verità

Il giudice si riserva. Sul fermo di Serif Seferovic, il giovane rom accusato di avere appiccato il rogo che la notte del 10 maggio scorso ha ucciso tre sorelline a Centocelle, il gip di Torino, Alessandra Danieli, attende l'ultimo momento. All'esame soltanto gli elementi indiziari che hanno consentito agli inquirenti di indicare in Serif, e in uno dei suoi dodici fratelli, i responsabili dell'agguato. È probabile che il giudice accolga la richiesta dei pm in vista degli esami irripetibili che domani compareranno il dna dell'indagato ai frammenti repertati dalla polizia sul luogo della strage. Ieri Serif si è difeso, sostenendo che la notte dell'agguato si trovasse in un'altra zona della città. Adesso, l'avvocato Gianluca Nicolini spera nelle immagini a circuito chiuso di una pompa di benzina che possano confermare le parole del giovane indagato, già condannato per lo scippo di Yao, la cinese travolta da un treno mentre inseguiva i suoi assalitori.

GLI INDIZI
«I rilievi antropometrici effettuati dalla polizia - si legge nel provvedimento di fermo - hanno accertato che l'individuo che ha lanciato la notte del 10 maggio la bottiglia incendiaria ha un'altezza tra i 181 e 186 cm, la corporatura dell'individuo è compatibile con quella di Seferovic, alto 186 centimetri». Dati che emergono dall'analisi delle telecamere a circuito chiuso che hanno fotografato il momento dell'agguato. Agli atti la testimonianza di Romano Halilovic, padre delle tre vittime, che ha indicato proprio in Seferovic il primo sospetto. E poi quel furgone bianco che altri componenti del campo rom sostengono essere proprio del fratello di Serif. Le telecamere lo hanno visto passare in tarda notte sulla Prenestina, in direzione tangenziale. Secondo alcuni testimoni del campo, la carrozzeria della vettura immortalata riporterebbe gli stessi danni di quella di Seferovic. Agli atti c'è anche la testimonianza di un presunto parente di Serif, un rom del 58, che pure indica l'indagato come il presunto responsabile. La procura ripercorre l'escalation di violenze tra i clan rivali dovuti a motivi economici: il rogo di un camper della madre di Halilovic il 5 maggio (gli autori sarebbero fuggiti su una Lancia Y) le fiamme a un'altra baracca l'8 maggio e altri episodi, il 13, il 17 e il 20 maggio successivi alla strage. Quanto alla geolocalizzazione dell'indagato, secondo gli accertamenti risulta che la notte del blitz «il cellulare di Seferovic non abbia generato traffico», tuttavia la circostanza non «è incompatibile» con la sua presenza sul luogo del delitto. Tanto più, scrivono i pm, che la mattina successiva, alle 11,50, si registra la sua presenza a Roma, in luoghi non incompatibili con la presenza la notte precedente sul luogo della strage. I pm ricostruiscono il pomeriggio precedente alla strage quando in piazza Paolo Carcano - Nuovo Salario - viene eseguito lo sgombero del gruppo al quale appartiene Seferovic. Così come sulla fuga contestata dai pm, l'avvocato spiega di essersi presentato in procura chiedendo l'interrogatorio del suo assistito all'indomani di un articolo pubblicato su Il Messaggero che metteva in relazione la strage con la morte della giovane cinese scippata. E aggiunge che neppure il fratello di Serif è scappato in Serbia, l'intera famiglia si sarebbe allontanata per partecipare al matrimonio di un parente, ma tutti sarebbero rientrati nella capitale.

IL LEGALE
Nel corso dell'interrogatorio Serif ha parlato dell'odio che la maggior parte dei rom della Capitale nutre per Romano Halilovic: «In tanti ce l'hanno con lui. Non è vero che io abbia particolari motivi di astio». Ma, soprattutto, ha cercato di ricostruire i suoi spostamenti. «Quella notte non ero a Centocelle. Nel pomeriggio del 9 maggio - ha sostenuto - sono tornato a piazza Carcano, non ho trovato nessuno e mi è stato detto che c'era stato uno sgombero, intanto è arrivata la polizia e mi hanno detto che non potevo stare lì. Ho aspettato che qualcuno mi accompagnasse e sono rimasto vicino a un'area di servizio nei pressi di Porta di Roma».
 

Ultimo aggiornamento: 08:31