Il Papa in Egitto, da Regeni ai cristiani i nodi dietro gli incontri

Sabato 29 Aprile 2017 di Franca Giansoldati
Il Papa in Egitto, da Regeni ai cristiani i nodi dietro gli incontri

dal nostro inviato
IL CAIRO -
Il Cairo val bene una messa. Quando Papa Francesco ha ricevuto l'invito a prendere parte alla conferenza di pace organizzata da Al Azhar non ha avuto dubbi. «Andiamo». Troppo grande era il suo dolore per i morti nelle chiese copte. Per l'ultimo attentato che risale alla domenica delle Palme. Per lo strazio davanti al video di 21 ragazzi decapitati sulle spiagge della Libia, gli occhi rivolti al mare mentre bisbigliavano «Gesù», prima che il boia recidesse loro la giugulare. Difficili da dimenticare, quelle immagini. L'ecumenismo del sangue. Significa che i morti dei copti, anche se appartenenti a una differente confessione cristiana, sono da considerare martiri comuni.

LA MINORANZA CRISTIANA
Viaggiare in Egitto, sfidando la sicurezza e tanti consiglieri che gli suggerivano di rimandare la visita a tempi migliori, per Francesco significava tanto. Non solo andare a sostenere i fratelli, a perorare la loro causa presso il governo di Al Sisi, a fare sostanzialmente politica in loro favore. Il tema della minoranza cristiana - oltre che essere stato al centro del discorso pronunciato davanti al presidente egiziano e alle autorità - è stato con ogni probabilità trattato anche nel colloquio privato, a tu per tu, nella sala d'onore, al piano terra del Palazzo presidenziale. Una ventina di minuti circa, non tanti, ma quanto basta per parlare con il cuore in mano ad Al Sisi di come l'Egitto voglia affrontare il futuro del Paese. Un approccio pragmatico. Il nunzio apostolico Bruno Musarò alcuni giorni fa spiegava: «Colpire i copti può anche voler significare di volere dare fastidio al governo di Al Sisi, appoggiato dai cristiani dopo i fanatismi religiosi del periodo di Morsi».

Anche se il presidente egiziano non è di certo un campione nella difesa dei diritti umani - basta leggere l'ultimo rapporto di Amnesty International, e i suoi comportamenti omissivi con l'Italia in relazione alla morte di Giulio Regeni, un argomento scomodo che potrebbe però essere stato affrontato nella conversazione privata - al mondo cristiano ha lanciato diversi segnali che segnano un passaggio nuovo. Papa Francesco gliene ha dato atto ricordando (in arabo) il motto della rivoluzione del 23 luglio 1952, quando il movimento rivoluzionario abolì la monarchia costituzionale per trasformarla in Repubblica.

«La fede è per Dio, la Patria è di tutti». Aggiungendo a corredo di questa massima quella che si può vivere in armonia condividendo «i diritti fondamentali e rispettando la fede e la libertà di tutti». L'islamista padre Samir Khalil ha chiarito che Al Sisi porta avanti una politica che riconosce alla religione un ruolo importante, ma è a favore di uno Stato assolutamente laico. «Islam e politica sono distinti». Ne è prova il fatto che nel nuovo Cairo, una area che si sta costruendo nel deserto, a 10 km dai confini della metropoli, Al Sisi abbia deciso di far sorgere la più grande chiesa copta d'Egitto accanto alla più grande moschea d'Egitto. Una contigua all'altra. Un contrassegno simbolico per l'intero popolo. «Sicuramente la visita del Papa migliorerà i rapporti tra tutte le componenti, ma soprattutto la situazione dei cristiani. Proporrà una immagine dei cristiani costruita e positiva. Questo aiuterà anche l'immagine del governo». Ma resta il terrorismo la radice del male da estirpare. Al Papa è stato assicurato che si farà di tutto. «Il nostro popolo paga un tributo altissimo per bloccare questo grande pericolo ma lo sradicheremo, tenendo ferma l'unità del Paese. Il che richiederà compattezza e collaborazione tra tutte le forze amanti della pace, anche a livello internazionale, per prosciugare le fonti e i finanziamenti con soldi, armi e combattenti».

LA POSTA IN GIOCO
La posizione è stata condivisa anche da Karim Al Issa, segretario generale della Lega Musulmana.

Alla conferenza ha annunciato: «Non ci sarà pace con doppi standard. Una diagnosi sbagliata del problema porterà a uno scontro politico, religioso e culturale», facendo crescere l'islamofobia in tutto il pianeta. Ognuno, nell'ambito della visita del Papa in Egitto, è pronto a scommettere qualcosa. La posta in gioco è troppo alta per tutti. Eppure, mentre Al Tayyeb alla conferenza di Al Azhar condannava duramente il terrorismo islamico, alcuni media filo governativi accusavano l'università sunnita (in cui si formano centinaia di imam ogni anno), di avere sostanzialmente mancati il suo scopo, e di non avere fatto abbastanza in passato per riformare il discorso religioso. Il presidente del Coreis, Pallavicini, commentando in diretta sulla tv dei vescovi il discorso di Al Tayyeb, rincarava la dose. Troppe ombre. «Il riferimento che avrebbe potuto evitare è agli ebrei che andavano considerati come fratelli senza inoltrarsi in considerazioni politiche. È stato inopportuno». Poco lungimirante.

Ultimo aggiornamento: 10:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA