Il Papa: «Mi rivolgo a Trump e Kim fermate il rischio guerra»

Domenica 30 Aprile 2017 di Franca Giansoldati
Il Papa: «Mi rivolgo a Trump e Kim fermate il rischio guerra»
dal nostro inviato
DA BORDO DELL'AEREO PAPALE
Tanta turbolenza persino sul volo di ritorno. L'aereo balla tutto mentre Papa Bergoglio, ben puntellato a un sedile, riflette al microfono. «Una guerra allargata distruggerebbe parte dell'umanità. Un conflitto dilatato sarebbe distruttivo. Fermatevi». Sono troppi i rischi legati ai missili coreani e alla corsa al nucleare. Per questo è più che mai deciso a fare appello al presidente Trump e al presidente Kim Yong-un. Si rammarica solo che l'Onu, in questo frangente, sia così fiacco. Lasciando il Cairo diretto a casa, il Papa conferma di essersi occupato direttamente anche del caso di Giulio Regeni.

Lei parla tanto della terza guerra mondiale a pezzi: sembra che questo rischio si avvicini. C'è paura per quello che accadrà attorno alla Corea del Nord. Lei tra poco vedrà il presidente Trump...
«Mi appellerò a loro, esattamente come ho fatto anche con altri leader, chiamandoli a un lavoro comune, sulla strada della diplomazia. Ci sono dei pontieri, dei mediatori. Penso per esempio alla Norvegia, ma ce ne possono essere altri. La strada è quella del negoziato e della soluzione diplomatica. Da due anni parlo della guerra mondiale a pezzi, e ora i pezzi si sono concentrati in punti che già erano caldi. I missili della Corea: se ne parlava già ma ora la corsa si sta riscaldando troppo. Una guerra allargata distruggerebbe una buona parte dell'umanità, della cultura. Sarebbe terribile. Oggi l'umanità non sarebbe capace di sopportarla. Le Nazioni Unite hanno il dovere di riprendere la leadership ma si è diluita, annacquata. Sono tanti i Paesi che soffrono per una guerra interna. Lo Yemen per esempio».

Vedrà Trump?
«Al momento non credo sia stata fatta alcuna richiesta di udienza. Io ricevo però ogni capo di Stato che lo richiede».

Ha affrontato il caso Regeni con il presidente Al Sisi e secondo lei si arriverà mai alla verità?
«Vorrei dare una risposta generale per poi arrivare al particolare. Generalmente quando con un capo di Stato ho un dialogo privato, il contenuto è destinato a restare confidenziale, a meno che non vi sia un accordo comune. In Egitto ho avuto diversi dialoghi privati. Con Al Sisi, con Al Tayyeb, con Tawadros. Se un dialogo è tale, per rispetto, mantengo la riservatezza. Su Giulio Regeni sono preoccupato. Dal Vaticano mi sono mosso personalmente anche perché i genitori del ragazzo mi hanno scritto. Ma non dirò ovviamente come mi sono mosso».

Lei al Cairo ha parlato di rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo. Ne ha parlato genericamente per facilitare il governo egiziano o per offrire garanzie democratiche ai cristiani?
«Io ho parlato di valori che si devono interpretare letteralmente. La pace, l'armonia dei popoli, l'uguaglianza dei cittadini al di là del loro credo religioso. Questi sono valori e li ho trattati esattamente come ho fatto anche nelle mie 18 visite precedenti. Non mi immischio se un governo presenta debolezze o sui suoi avversari politici. Io parlo di valori e poi ognuno veda e giudichi se uno Stato li porta avanti».

Ha visitato le piramidi?
«Mi sarebbe piaciuto andare stamattina prestissimo con alcuni miei assistenti ma non potevo».

Lei ha ad Al Azhar ha denunciato la crescita di populismi demagogici. I francesi sono tentati dal voto populista e sono disorientati. Quali possono essere gli elementi di discernimento da prescrivere agli elettori cattolici?
«Quando sono venuto in Europa ho dovuto imparare il significato di questa parola. Populismo. In America Latina ha un altro significato e fa riferimento direttamente al popolo, alla gente. Quello che ho detto sull'Europa in passato non lo ripeterò qui. Ogni Paese è libero di effettuare le scelte che crede più convenienti. Non conosco la politica interna francese. E' vero che l'Europa è in pericolo e rischia di dissolversi e dobbiamo meditare su questo rischio. C'è poi anche un dato di fatto che spaventa ed è quello relativo all'immigrazione, ma non dimentichiamo che l'Europa è stata fatta da migranti. Secoli e secoli di migranti. Siamo noi. Tuttavia è un problema che si deve studiare bene, con opinioni oneste e facendo una grande politica, non una piccola politica che finisce cadendo».

Ma sulle elezioni francesi?
«Dico la verità io non capisco la politica interna francese. Ho cercato di avere buoni rapporti, anche con il presidente attuale, con il quale c'era stato un dissidio poi risolto. Sui due candidati politici (Macron e Le Pen nrd) non so da dove vengono. So che uno proviene dalla destra forte, ma dell'altro non so nulla. Non posso dare alcuna opinione. Un po' di tempo fa mentre salutavo della gente, un tizio mi chiese un aiuto per fare un partito di cattolici. Questo signore era buono, ma sicuramente viveva nel secolo scorso».

Parliamo di quello che succede in Venezuela, potrebbe esserci un intervento della Santa Sede?
«C'è già stato un intervento della Santa Sede su richiesta dei quattro presidenti mediatori (Samper, ex presidente della Colombia, Torrijos, ex presidente di Panama, il dominicano Fernandez e Zapatero ndr). Le proposte non sono state accettate. Io voglio bene al Venezuela. So che ora i quattro presidenti vorrebbero rilanciare una altra mediazione. Stavolta però dovrebbe essere accettata e condivisa da tutte le parti ma l'opposizione è divisa e il conflitto si sta acutizzando. Quello che si può fare per il Venezuela si deve fare ma con le garanzie necessarie altrimenti è inutile».

Lei ha paragonato i campi per i rifugiati a campi di concentramento, sollevando parecchie reazioni da parte dei tedeschi. E' stato un lapsus?
«Bisogna leggere bene quello che dicevo in quel discorso. Davo conto all'Italia e alla Grecia di essere le più generose. Alla Germania va dato atto di riuscire molto bene nella integrazione. Tuttavia in alcune zone, che non sono situate in Germania, ci sono campi di rifugiati, che sono dei lager, dei campi di concentramento. Gente che è chiusa dentro e non può uscire. Un po' di tempo fa un volontario di Agrigento mi ha raccontato una cosa buffa, che in un paesino dove erano stati sistemati i rifugiati, per farli uscire un po' dal campo, altrimenti si sarebbero ammalati, d'accordo con loro, hanno aperto un buco. Gli hanno consentito di fare delle passeggiate e poi rientravano. I rapporti con i cittadini sono stati buoni. Non ci sono stati casi di criminalità».

Quali sono le prospettive con gli ortodossi e come valuta il rapporto tra Russia e Vaticano in merito alla difesa dei cristiani in Medio Oriente?
«Con gli ortodossi ho sempre avuto una grande amicizia sin dai tempi di Buenos Aires. Un rapporto filiale. Siamo Chiese sorelle. Con il Papa copto Tawadros ho una amicizia speciale, per me è un grande uomo di Dio. Egli porterà la Chiesa avanti, ha un grande zelo apostolico ed è uno dei più grandi sostenitori del progetto di trovare una data comune per festeggiare la Pasqua. Abbiamo firmato una dichiarazione comune sul battesimo molto importante».