Strappo al Senato, Renzi già vede le elezioni. Gentiloni prova a mediare

Giovedì 6 Aprile 2017 di Alberto Gentili
Renzi

ROMA C'è chi racconta che a Matteo Renzi, dopo l'imboscata proporzionalistica nella commissione Affari costituzionali del Senato, sia tornata una gran voglia di andare sparato alle elezioni. Al più tardi a settembre, prima del varo della legge di stabilità. Il motivo: secondo l'ex premier la maggioranza non c'è più, si è dissolta sotto l'offensiva di chi vuole impedire una legge elettorale maggioritaria. Scissionisti di Bersani in testa. «Che tristezza! Mettono gli interessi personali davanti a quelli del Paese», ha commentato in serata con i suoi.

Ma c'è anche chi narra, in una giornata di veleni e colpi bassi, una storia del tutto diversa: dietro la bocciatura a presidente della Commissione del dem Giorgio Pagliari ci sarebbe proprio il Pd di Renzi. L'obiettivo: destabilizzare la situazione, mandare alle stelle la fibrillazione e dopo il 30 aprile, dopo aver fatto incoronare il nuovo segretario dal popolo delle primarie, cercare il voto anticipato. Questa ipotesi però viene smentita da ogni renziano di ordine e grado, anche a taccuini rigidamente chiusi.

Così, di certo, c'è soltanto il grande allarme di Paolo Gentiloni che vede la sua maggioranza sgretolarsi. Ieri sera, dopo che il reggente del Pd Matteo Orfini e il coordinatore della mozione Renzi, Lorenzo Guerini, erano usciti da palazzo Chigi lasciandosi alle spalle refoli di crisi, il premier ha allargato le braccia. Certo, ai plenipotenziari renziani aveva garantito l'impegno per «il rafforzamento della coesione della maggioranza».

E il ministro Anna Finocchiaro era corsa a dire che questa c'è, è viva e vegeta, «come dimostra il voto di fiducia proprio in Senato sul decreto terremoto». Ma Gentiloni, descritto «molto preoccupato», sa bene che la vita del suo governo è appesa a un filo. E che forse tanta drammatizzazione da parte del Pd per l'elezione in Commissione Affari costituzionali del centrista Salvatore Torrisi poteva essere evitata: «La scorsa legislatura è stato eletto, sempre contro il volere della maggioranza di governo, Villari in Vigilanza e in questa il forzista Matteoli nella commissione Trasporti, ma poi la vita è continuata...», dice una fonte di palazzo Chigi.
LE MOSSE DEL PREMIER
Gentiloni, in ogni caso, si è dato un gran da fare per cercare di sminare la situazione. Ha rintracciato Angelino Alfano mentre era di ritorno da Bruxelles. E al ministro degli Esteri il premier ha chiesto di far dimettere il suo Torrisi. Richiesta che Alfano, in qualità di leader di Ap, ha girato con una nota ufficiale al senatore. «Peccato che Torrisi sia già con Berlusconi. Silvio è tornato a fare politica e a darsi da fare per garantire a tutti una bella legge proporzionale», gongola un senatore vicino al leader di Forza Italia.

Frasi e circostanze che tra i renziani sono certezze. Nessuno crede che Torrisi seguirà le indicazioni di Alfano. Molti scommettono che sia solo questione di ore il suo addio ad Alternativa popolare. Così per Michele Anzaldi, amico storico di Gentiloni e ora capo della comunicazione di Renzi, «ciò che è accaduto in Senato è una bomba atomica. E lo è perché per la prima volta, dopo il referendum del 4 dicembre, si sono coalizzate tutte le forze che vogliono spingere il Paese nella palude del proporzionale. Il ritorno al Medioevo». E Orfini: «C'è una crisi di maggioranza in corso». Di crisi parla anche il ministro Andrea Orlando, sfidante di Renzi alle primarie. Le parole più dure, però, le pronunciano i renziani: «Il fronte proporzionalista che raccoglie anche scissionisti e grillini, si è preso la presidenza della commissione cruciale per decidere sulla legge elettorale. La maggioranza di fatto non c'è più e si fa di nuovo concreta la prospettiva delle elezioni anticipate».

Già. Così Alfano, che le elezioni non le vuole, punta l'indice sul Pd: «Ci sono stati voti di senatori dem in dissenso dall'indicazione ufficiale». E in Senato c'è chi sospetta Renzi. Indicando quattro indizi. Il primo: Pagliari non era il suo candidato preferito per la presidenza della Commissione, ma Mirabelli e Cociancich. Il secondo: i due senatori verdiniani non sono andati a votare. Il terzo: lo strappo di Ap fa comodo a chi punta a far lievitare la fibrillazione. Il quarto: quando venne eletto Matteoli, sempre contro il parere della maggioranza, nessuno andò a protestare a palazzo Chigi o a chiedere l'intervento di Sergio Mattarella. Ma, si diceva, la pista dell'auto-harakiri non trova conferme. Anzi: «Basta legge i numeri per capire che l'agguato è venuto dagli scissionisti e da Ap», afferma il capogruppo Ettore Rosato.

SCONCERTO SUL COLLE
Un capitolo a parte merita il Quirinale.

Il capo dello Stato è rimasto sconcertato e sorpreso quando dal Pd è arrivata la richiesta di un incontro. Una richiesta giudicata irrituale e stravagante, dato che ciò che è accaduto in Senato riguarda le dinamiche parlamentari. Osservazioni fatte pervenire a Guerini e Orfini che, non a caso, non sono andati a bussare al Quirinale. Una frenata che ha spinto il Colle a giudicare superata la gaffe istituzionale. Ciò detto, Mattarella non sottovaluta i focolai di crisi e ha avviato contatti con Gentiloni per scongiurare il precipitare della situazione.

Ultimo aggiornamento: 12:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA