Mossa trasformista/La sconfitta personale del leader

Martedì 10 Gennaio 2017 di Mario Ajello
Operazione fallita. Ovvero: la più grande sconfitta di Beppe Grillo. L’uomo che ha lanciato il vaffa in politica se lo vede restituito, in maniera clamorosa e su scala internazionale, dall’Europa. Non è riuscita la svolta trasformista (il trasformismo non è sempre degli altri) del leader che ha tentato di passare repentinamente dall’euro-scetticismo al filo-europeismo. Restando con niente in mano.

Non lo vogliono più i liberali dell’Alde, con cui aveva appena stipulato il patto della conversione. Non ha ottenuto i soldi, le poltrone e la centralità euro-parlamentare a cui mirava entrando in quel gruppo. Non è stato capace di inserirsi nel quadro della politica tradizionale, che sognava di poter utilizzare al proprio scopo riassumibile in una vecchia rimetta del giurista Paolo Ungari: «Chi contesta nel contesto / fa carriera assai più lesto».
Insomma, la furbata del patto con Verhofstadt si è subito sfarinata. E non resta a Grillo, come auto-assoluzione, che attivare la solita denuncia del complotto: «L’establishment ha deciso di fermare la nostra operazione».

Quello di Beppe, il presunto diavolo beffato dalle sue diavolerie, mostra di essere un boomerang perfetto. Il leader snaturato il movimento, imponendo una svolta tutta sua - uno non vale uno - e facendola ratificare, nel diluvio di borbottii e vergogne dell’intero corpo pentastellato, dai web-votanti. Il che è stata una dimostrazione che il partito personale regge, così come funziona l’autoritarismo interno. Ma è evaporato l’alone eroico, e finora vincente, del timoniere che costringe la truppa a seguirlo e non sa però condurla al risultato. Anzi, la manda a sbattere insieme a lui. In una sorta di Caporetto pentastellata. L’errore del generale è tale che sembra aiutare i piccoli colonnelli semi-rottamati alla Di Battista e alla Di Maio, schiacciati dal peso di Beppe e soprattutto dalle proprie inettitudini e gaffe, a rialzare leggermente la testa. 

Finora, nei Cinque stelle, vigeva il teorema: noi vinciamo sempre, e quando facciamo flop la colpa è sempre di qualcun altro. Per esempio di Virginia Raggi a Roma o, generalmente, di chissà quale oscura macchinazione dei nemici in agguato. Invece, adesso, il leader insieme a Casaleggio junior ha giocato una partita tutta sua, con tanto di trasferta a Bruxelles, ed è impossibile scaricarne il fallimento su altri e mascherare evidenti responsabilità personali. I dioscuri del movimento sono stati furbi e sconfessati. 

E questo mix racconta un altro fatto nuovo. Fino a ieri mattina, come alibi della non idoneità politica, riscontrabile non solo nell’amministrazione della Capitale, veniva sbandierata l’ingenuità e la poca esperienza degli ultimi arrivati sul grande palcoscenico. Adesso è invece la furbizia sconfitta che svela la non idoneità del vertice e dell’Elevato (così Beppe si diverte a farsi chiamare). L’esito è sempre lo stesso: la mancanza del risultato. E comunque sia, il piatto M5S piange.


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