Renzi denuncia il piano dei big Pd: «Fuori dal mondo un partito con M5S»

Giovedì 3 Maggio 2018 di Nino Bertoloni Meli
Renzi denuncia il piano dei big Pd: «Fuori dal mondo un partito con M5S»
Pd e M5S alleati contro il centrodestra? Pd e M5S perno di un nuovo partito riformista? «Ma siamo fuori dal mondo, non esiste, sarebbe il tradimento dei nostri elettori». Matteo Renzi dedica buona parte della sua e-news a rintuzzare e, possibilmente, far naufragare l'ipotesi che da qualche tempo circola dentro il Pd, e anche fuori, in circoli mediatico-politici.

Al di là della contingenza delle conte, delle direzioni chiamate a sancire spaccature o mediazioni dell'ultima ora, è questo ormai il vero punto di scontro dentro il Pd, volto a segnarne il futuro prossimo venturo, la sua implosione, o la sua rinascita, o il suo trascinarsi stancamente verso il baratro. A occhieggiare verso M5S aveva cominciato Walter Veltroni già pochi giorni dopo la scoppola del 4 marzo, quando teorizzò che «parecchia parte del nostro elettorato ha scelto di votare per il M5S, e noi è lì che dobbiamo adesso guardare, per recuperare quei voti». Un veltroniano doc come Walter Verini tracciò a sua volta un itinerario di questo tipo: «Chi l'ha detto che deve rimanere il tripolarismo? Si può invece lavorare per un nuovo bipolarismo che veda da una parte Pd e M5S e dall'altra il centrodestr». E quando l'altra sera in tv si è sentito Piero Fassino teorizzare papale papale che il nuovo bipolarismo deve vedere da una parte il centrodestra e dall'altra Pd e M5S alleati, per Renzi il cerchio si è chiuso, l'ex leader ha capito che la questione è ormai uscita dai dibattiti ristretti per diventare terreno di scontro politico e di prospettiva. «Non sono d'accordo con Fassino, quel che ha detto lo considero un errore. Dal M5S non ci divide soltanto una campagna elettorale basata sugli insulti, sugli attacchi personali e sulle promesse irrealizzabili, ci divide un'idea di futuro». Non solo, aggiunge Renzi, «ci divide anche l'idea stessa di democrazia: ho sempre combattuto la logica del partito-azienda di Berlusconi, non credo sia nel Dna del Pd finire alleati con l'azienda-partito di Casaleggio».
«Non sta né in cielo né in terra il solo ipotizzarla, questa alleanza», fa tra il sorpreso e il preoccupato Claudio Petruccioli, una vita politica passata assieme sia a Veltroni che a Fassino, e che adesso guarda sbigottito ai recenti approdi di entrambi. «Il discrimine è il liberalismo, e trovo grave e colpevole non denunciare la natura profondamente illiberale di questo movimento dalle origini strane e dalle procedure opache». In una serie di tweet Petruccioli ha cercato di controbattere alle tesi filo cinquestelle di amici e compagni di una vita, «Fassino è mio grande amico, ma ora non sono d'accordo». Con la sua uscita volta a rintuzzare i conati filo M5S dentro il Pd, Renzi ha inteso far uscire allo scoperto il vero piano politico degli anti, dei ribelli, insomma, di quanti contestano all'ex leader non tanto il diritto di parola, quanto il merito delle sue tesi. E' come se dicesse: Di Maio continua a volere un Pd de-renzizzato, e nel Pd c'è chi gli fa da sponda...

SINTESI DIFFICILE
Con queste premesse, alla direzione convocata per oggi pomeriggio la sintesi appare difficile. La conta organizzata sul documento Guerini, presentato come punto di mediazione, in realtà ha ulteriormente inasprito gli animi, tanto che in serata dal reggente Maurizio Martina è arrivato una sorta di penultimatum: «Basta delegittimare il reggente». Le minoranze si muovono come se fossero ormai maggioranza, dettano condizioni, lanciano moniti e penultimatum. Renzi e renziani sventolano numeri che li danno tuttora maggioranza, nei gruppi e in direzione, ma il Pd ne uscirebbe comunque spaccato. E nel frattempo dalla maggioranza sono andati via Franceschini, Veltroni, Fassino e Martina, mentre regge l'asse Renzi-Orfini con Gentiloni della partita ma defilato («Gentiloni se sente parlare di alleanza con il M5S mette mano alla pistola», dice un gentiloniano di raccordo).

 
© RIPRODUZIONE RISERVATA