Renzi: salva la mia riforma, ora dritti al voto a giugno

Giovedì 12 Gennaio 2017 di Alberto Gentili
Renzi: salva la mia riforma, ora dritti al voto a giugno
ROMA «Bene, finalmente una buona notizia. In ogni caso però si va alle elezioni prima possibile. Al massimo a giugno». Dal Nazareno, dove Matteo Renzi è tornato stabilmente in cabina di comando, non lasciano speranze a chi, come Silvio Berlusconi, i centristi di Angelino Alfano e la sinistra dem di Pier Luigi Bersani, puntava su un rigetto da parte della Consulta del quesito sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori per sperare di arrivare a fine legislatura. Alla primavera del 2018.

Certo, Renzi ha perso una motivazione importante per il voto anticipato. Caduto per mano della Corte costituzionale il referendum contro il cuore e l'anima del Jobs Act, il segretario del Pd non rischia più di bissare il plebiscito ad personam del 4 dicembre scorso. Quello da cui uscì sconfitto 60 a 40 (per cento) e in forza del quale ha lasciato palazzo Chigi. Ma resta il fatto che l'ex premier non intende «restare a galleggiare» ancora a lungo. Così il mantra renziano è lo stesso della vigilia della sentenza della Consulta: «Appena possibile si vota».

REGALO DI COMPLEANNO
Detto questo, al Nazareno - dove ieri Renzi non si è fatto vedere per festeggiare il compleanno in famiglia - accolgono con sollievo «il nuovo corso della Corte». Se fino a martedì filtravano dalla sede del Pd timori e sospetti: «I giudici costituzionali non ci sono mai stati amici, basta ricordare i danni che hanno fatto sulle pensioni...». Ieri pomeriggio, dopo la bocciatura del quesito sull'articolo 18 presentato dalla Cgil, è scattato l'applauso su ordine (telefonico) del segretario. Ecco il vice Lorenzo Guerini: «Prendiamo atto con rispetto e grande soddisfazione del pronunciamento della Corte». Ed ecco il renzianissimo Andrea Marcucci: «Una decisione ineccepibile». «Questo perché», spiega il capogruppo alla Camera, Ettore Rosato, «era evidente che il quesito proposto dalla Cgil non era abrogativo, ma manipolativo. E dunque chiaramente inammissibile».

Dietro tanta euforia ci sono due ragioni e c'è una speranza.
La prima ragione: il Jobs Act, una delle riforme cardine del renzismo, è salvo. La seconda ragione: se anche fosse riuscito a far slittare al 2018 il referendum sull'articolo 18 grazie alle elezioni anticipate, Renzi tra 18 mesi si sarebbe ritrovato nella stessa situazione del 4 dicembre scorso. Con «il cuore della riforma del lavoro a rischio di una nuova sconfessione popolare», dice uno dei suoi. In più, cosa ancora più indigesta, «sarebbe stato decisamente imbarazzante spiegare agli italiani che si andava alle elezioni per impedirgli di esprimersi sul Jobs Act».

La speranza: l'ex premier auspica che la Corte costituzionale si mostri altrettanto benevola il 24 di questo mese, quando è fissata la sentenza sull'Italicum. «E quando di fatto si deciderà la data delle elezioni». Se la Consulta interverrà con il bisturi, cancellando alcune parti (come il doppio turno) ma non stravolgendo la legge elettorale voluta da Renzi, le elezioni anticipate risulteranno più vicine. E sarebbero a portata di mano soprattutto se la sentenza fosse auto applicativa e sfornasse un sistema di voto in qualche modo omogeneo con quello del Senato, già ritoccato dalla stessa Corte. Non a caso è chiamato Consultellum.

Se ciò avvenisse, Renzi non dovrebbe lottare più di tanto contro quella che chiama «melina». E potrebbe dribblare una trattativa parlamentare sulla legge elettorale che si presenta difficilissima. Con Forza Italia, la sinistra e i centristi che vogliono il proporzionale (il Consultellum lo è, ma lo sbarramento è all'8%). Con il Pd e la Lega che spingono per il Mattarellum (75% maggioritario e 25% proporzionale). E con i Cinquestelle che gridano: «Elezioni!», per difendere un giorno il doppio turno dell'Italicum e quello dopo proporre il proporzionale puro.

ADDIO QUESITI
Ma c'è di più. C'è che le elezioni anticipate permetterebbe a Renzi di rinviare alla primavera del 2018 il voto sui due quesiti ammessi dalla Consulta: sui voucher e sulla responsabilità solidale in materia di appalti. Quesiti grazie ai quali i Cinquestelle e la minoranza dem già affilano le armi: «Sarà la spallata definitiva al Pd», azzarda il grillino Luigi Di Maio. «Senza correzioni voteremo Sì», annuncia entusiasta Roberto Speranza.

Per questo (ma non solo per questo) il segretario del Pd ha deciso di non giocare la partita: il governo interverrà da qui ad aprile per modificare le norme oggetto del referendum, facendo così cadere le ragioni dei quesiti superstiti promossi dalla Cgil. «Andare al voto su voucher e appalti nel 2018 sarebbe folle», certificano al Nazareno, «nei prossimi mesi quelle parti verranno riviste. Tanto più che non le abbiamo scritte noi, ma precedenti governi...». Parole che Renzi e i suoi non avrebbero mai potuto pronunciare sul Jobs Act. Non a caso la riforma della parte relativa all'articolo 18 non è mai stata messa in cantiere. Neppure sotto la minaccia del quesito Cgil, «sventata grazie alla Consulta».