Flop a sinistra, Gentiloni va: ora la sfida ai bersiani

Giovedì 5 Ottobre 2017 di Alberto Gentili
Flop a sinistra, Gentiloni va: ora la sfida ai bersiani

Roberto Giachetti, il minotauro del Pd per metà renziano e per metà gentiloniano, non è uno che le manda a dire. Così, poco dopo che il tabellone del Senato ha finito di lampeggiare 181 sì (20 in più del necessario) allo scostamento dal pareggio di bilancio inserito nel Documento di economia e finanza (Def) e 164 sì alla nota di aggiornamento (la maggioranza assoluta era a quota 161), Giachetti twitta: «I voti sul Def dimostrano in modo definitivo l'irrilevanza non solo politica, ma anche numerica, di Mdp».

Non è il veleno di un tifoso. E' la matematica a dirlo. Nonostante lo strappo di Pier Luigi Bersani e Massimo D'Alema, in barba alla decisione dei 16 senatori di Articolo 1-Mdp di uscire dalla maggioranza e di passare all'appoggio esterno, il governo non boccheggia. Non arranca. «I numeri ci sono, la manovra economica verrà approvata senza patemi. Sono state appena fatte le prove generali», certificano soddisfatti a palazzo Chigi.

A rendere Mdp irrilevante, permettendo a Paolo Gentiloni di celebrare «responsabilità» e «stabilità», è il ritorno in campo di Denis Verdini. Per qualche tempo, dopo l'addio di Matteo Renzi a palazzo Chigi, si era eclissato. Ma nel giorno in cui i numeri contano (e tanto) Verdini e i suoi tornano a calcare la scena: più dodici sul tabellone alla voce Ala, il partitino di Denis. Più 6 voti dei senatori vicini a Giuliano Pisapia (Stefano, Uras, Orellana, Bencini, Molinari, Romani) e 3 di Gal (Naccarato, Villari, D'Onghia).

LA STRATEGIA DEL PREMIER
Gentiloni incassa, sorride (alla Camera ha perfino lanciato un bacio ai cronisti) e non si scompone. Nel suo entourage non c'è imbarazzo per il sostegno di Ala: «Per oltre due anni ha votato per il governo. Semmai c'era da imbarazzarsi prima. In ogni caso quei voti non li abbiamo chiesti e non è stata aggiunta una sola parola al Def per avere il sì di Verdini, dunque...».

Dunque, voti gratis e benvenuti. In più, Gentiloni non ha intenzione di cambiare linea dopo lo spostamento al centro del baricentro della maggioranza. Anzi, la strategia del premier (concordata con Renzi) è quella di mettere in difficoltà Bersani e D'Alema. L'obiettivo: dimostrare che la decisione di passare all'appoggio esterno «è strumentale». «Se tagliamo, com'è probabile e come chiede anche il Pd, i ticket della sanità diventerà dura per Mdp votare contro...».

A palazzo Chigi nessuno nasconde la «delusione» e l'«irritazione» per la mossa di Bersani e D'Alema: «Gentiloni aveva ricevuto Pisapia e i capigruppo di Mdp lunedì. Era stato avviato un percorso. Avevamo promesso ascolto e misure nella direzione da loro indicata. Invece, hanno deciso di strappare». Segue una vagonata di perplessità mista a ironia: «Bisogna capire cosa intendono fare. Non si capisce se sono usciti davvero o se hanno ancora un piede in maggioranza: dicono che valuteranno dopo aver letto la legge di bilancio. Noi restiamo disponibili al confronto, ma ora è tutto più difficile. Certo, però c'è Pisapia che è decisamente più ragionevole». Ecco la chiave: strappare l'ex sindaco all'abbraccio con Mdp. Operazione ormai in discesa.

VISTO DAL NAZARENO
Nell'operazione si cimenta anche Renzi.

Il segretario del Pd viene descritto «euforico». Perché «Bersani e D'Alema hanno fatto la fine di Turigliatto e Bertinotti, senza neanche riuscire a far cadere il governo». Perché, come dice il renzianissimo Andrea Marcucci, «Mdp è partito per suonarle ed è finito suonato». «Ed è stato dimostrato, a dispetto di D'Alema, che non serve il soccorso di Forza Italia per far passare la manovra». E perché una politica «fatta di solo rancore ci porterà tra le braccia Pisapia e perfino Pippo Civati, con Mdp solo e solitario nella ridotta di estrema sinistra con Fratoianni, Fassina e quelli del Brancaccio».

Ultimo aggiornamento: 6 Ottobre, 07:50 © RIPRODUZIONE RISERVATA