Pd, vince la Margherita, perdono i Dem. E Minniti non vota

Domenica 28 Gennaio 2018 di Marco Conti
Minniti (ansa)
Il Pd cambia pelle. Matteo Renzi ribalta le quote un tempo assegnate agli eredi del Pci e della Dc divenuti Ds e Margherita nel momento della fusione. Non cambiano però solo i rapporti di forza, ma anche il numero dei fedelissimi che il segretario pensa di portare in Parlamento. Ieri sera, dopo due notti da incubo, Renzi legge poco prima dei tg alcuni nomi in conferenza stampa smentendo tensioni nel partito e con la minoranza interna di Andrea Orlando. La sinistra del partito è in subbuglio. Cuperlo ha deciso di non accettare il collegio di Sassuolo e gli orlandiani insistono facendo filtrare in serata un nota nella quale si accusa il segretario di «veti e mortificazioni». Il Guardasigilli non riesce a sistemare tutti i suoi - compreso Andrea Martella - e ha bisogno di tenere alta la polemica, ma con i sondaggi attuali non tutti si sentono garantiti e le rinunce sono possibili, così come i ripescaggi.

LA DIFESA
Alle proteste della minoranza interna si aggiungono le delusioni dei singoli di peso. A cominciare dal ministro dell'Interno Marco Minniti che nella notte tra venerdì e sabato ha lasciato la direzione del partito non avendo gradito la mancate candidature di Enzo Amendola, Andrea Manciulli e Nicola Latorre, tre esponenti del Pd che rappresentano per il titolare del Viminale dei punti di riferimento in materia di sicurezza e difesa. Un prezzo lo paga anche Paolo Gentiloni che nella notte arriva al Nazareno dove apprende che Ermete Realacci, storico compagno di molte battaglie, è fuori dalle liste, così come il collega di governo Claudio De Vincenti che poi verrà ripescato. Nella notte di venerdì il secondo piano del Nazareno è occupato da Renzi, Lotti, Guerini e Franceschini. La Boschi sale e scende, mentre Fassino arriva quando si consuma il dramma della Serracchiani che scopre di non essere candidata in Friuli. L'ex sindaco di Torino non correrà in Piemonte ma a Ferrara, mentre il suo posto lo prenderà Mauro Marino, vicepresidente della Commissione banche.

Tra i volti nuovi e sicuri di candidatura c'è quello di Lucia Annibali, l'avvocatessa sfregiata dall'acido correrà a Parma, e quello di Francesca Barra, compagna dell'attore Claudio Santamaria, candidata a Matera. Poi una sfilza di rettori e il maestro di strada Marco Rossi Doria (Napoli). Fuori i senatori Lo Giudice e Manconi e l'ex sindaco di Lampedusa Nicolini. Così come non avrà un seggio l'ex governatore siciliano Crocetta. Spazio, invece, a Riccardo Illy in un collegio senatoriale a Trieste, Paolo Siani a Napoli e all'avvocatessa Lisa Noja a Milano.

LA LISTA
Molte le donne candidate, ma poche nei collegi. Sicuramente Maria Elena Boschi correrà a Bolzano e sarà nel proporzionale di Roma Sud con Orfini e la Madia, e capolista a Taormina dove ha organizzato il G7. Michele Emiliano spunta la riconferma di Francesco Boccia e il riconoscimento del suo ruolo in Puglia. In lista c'è il costituzionalista Stefano Ceccanti e il portavoce di Gentiloni Filippo Sensi come Roberto Giachetti a Sesto Fiorentino.

Trovare posto per tutti è complicato e Renzi lo ammette. Anche perchè nel 2013 un centinaio di deputati vennero eletti grazie ad un premio di maggioranza che non c'è più nel Rosatellum. Resta il fatto che dopo cinque anni di sofferenze e lotte con i gruppi parlamentari, Renzi sta costruendo il nuovo Pd partendo proprio dagli eletti. Due giornate di passione, molto complicate che comunque disegnano un partito molto più fedele al suo leader che ha ora davanti un mese di campagna elettorale per risalire nei sondaggi ed evitare che il Pd scenda sotto quota-Bersani, il 25%. Se però questo dovesse accadere, sarà difficile che nel nuovo Pd si aprirà un processo al leader. Così come, nell'incerto scenario del post voto, il segretario del Pd avrà sicuramente meno problemi di manovra per costruire o rifiutare alleanze e alleati.
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