Liste Pd, tensione Orlando-Renzi: «Matteo offende». Ma lui: «Avanti col ricambio»

Martedì 30 Gennaio 2018 di Nino Bertoloni Meli
Orlando e Renzi (ansa)
«Un po' di ricambio non fa male, le minoranze sono state rispettate, ma i problemi degli italiani sono ben altri», dice Matteo Renzi sulle liste del Pd. «Non offendiamo l'intelligenza degli elettori, per favore, non serve a nulla negare l'evidenza», replica a stretto giro Andrea Orlando capo della minoranza dem. Ancora lunghi coltelli al Nazareno dopo «l'esperienza devastante» della formazione delle liste. Strascichi della lunga notte delle candidature, ma anche avvisaglie di quel che potrebbe capitare a urne chiuse, e a seguito di un risultato negativo per il Pd (l'asticella della tenuta al momento è fissata al 25 per cento, lo stesso risultato riportato la volta scorsa da Bersani, ma senza scissione).

IL PROPOSITO
Il proposito comune, adesso, è di impegnarsi uniti e compatti per avere un buon risultato dalle urne, lo dice Renzi ma ne convengono anche Orlando e Emiliano. «Salvini è contro di me? Giusto, abbiamo due visioni diametralmente opposte della politica e del Paese», ha detto Renzi polarizzando per la prima volta lo scontro con il leader leghista. Il dopo nel Pd è tutto da vedere. Le bordate non mancano: si va da Enrico Letta, che pronostica un Pd che va «verso l'abisso», a esponenti anche renziani, o acquisiti come il filosofo Beppe Vacca, che annuncia e spiega: «Il Pd è destinato a mutare profondamente, è nato con il maggioritario ma ora con il proporzionale cambia finalità e funzione». Renzi si è assicurato nel frattempo l'appoggio di un altro filosofo di peso, spesso spirito critico, Massimo Cacciari, al quale il leader aveva chiesto di candidarsi, ma l'ex sindaco di Venezia ha declinato perorando la causa di Nicola Pellicani, figlio dello storico dirigente riformista del Pci-Pds, Gianni.

C'è poi il caso Cuperlo: confermato che l'antagonista di Renzi alle primarie non sarà in lista, né a Sassuolo né altrove, più d'uno dentro il partito sostiene che Cuperlo ha fatto una scelta alla Di Battista, si tiene pronto per scenari futuri ove mai dovesse tornare percorribile una leadership nel Pd di nuovo di sinistra o di provenienza della Ditta, magari in raccordo con i fuoriusciti tipo Bersani e D'Alema, che Cuperlo non ha seguito ma ai quali si sente culturalmente e politicamente legato.

IL MALCONTENTO
Il malcontento per come è stata trattata la minoranza dem trova riscontro anche nella collocazione delle liste, dove gli esponenti orlandiani sono stati messi in buona parte a contendersi i collegi, senza paracadute, e collegi difficili: Giorgis a Torino, Di Maria a Bologna, Damiano a Terni, Velo a Livorno, alcuni esempi; e dove la minoranza ha avuto posti nei listini, a parte Pollastrini in Lombardia e lo stesso Orlando in Emilia, gli altri occupano non i primi posti, quindi sono a rischio, dipenderà dalla percentuale ottenuta dal Pd e dal gioco delle rinunce (Cirinnà seconda nel Lazio 2, Misiano secondo in Lombardia 2). Pure peggio, se possibile, sta messo Emiliano, che è riuscito a salvare i suoi Boccia e Ginefra in Puglia, ma non Valiante in Campania. Senza paracadute corre Luca Lotti, che pure è renziano della primissima ora nonché factotum delle liste, candidato solo nel collegio di Empoli e da nessun'altra parte.

I problemi in casa Pd però non sono finiti. In Sicilia si segnalano sedi chiuse per protesta, come a Caltanissetta, o autoconvocati che annunciano di volersi buttare in campagna elettorale «ma per denunciare il profilo mutato del Pd, che non rispetta il pluralismo»: così dice Cracolici, storico dirigente, escluso assieme a Beppe Lumia (28 anni di presenza parlamentare); per non parlare di Saruzzu Crocetta, escluso anche lui, che minaccia di presentarsi in campagna elettorale con il megafono ma non per chiedere un voto al Pd, ma contro.
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