Minniti e i ritardi della sinistra: «Perde chi non capisce le paure»

Sabato 10 Febbraio 2018 di Mario Ajello
Minniti e i ritardi della sinistra: «Perde chi non capisce le paure»

Macerata ha paura, dopo quello che è successo. E la paura di Macerata, è una paura che riguarda tutti. Ed è geopoliticamente trasversale. Perfino nelle feste dell’Unità e nei ritrovi della sinistra democratica tanta gente parla così: «Bisogna cacciare a pedate gli immigrati!». Marco Minniti sa bene quanto questa paura sia diventato il nocciolo anche delle elezioni del 4 marzo. E sa bene il ministro quanto il ritardo della sinistra sul tema della sicurezza abbia pesato in passato e possa pesare anche questa volta. 
Minniti ha partecipato ieri a un lungo dibattito alla casa editrice Laterza. Con esperti, studiosi, sociologi, demografi, operatori nel campo dell’accoglienza, e personaggi di spicco come il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone. Parla delle tante Macerata d’Italia il ministro, commentando il libro di Stefano Allievi: «Immigrazione. Cambiare tutto». «Se non si governano i grandi flussi migratori - osserva Minniti - si alimenta il brodo di coltura dove cresce il razzismo». 
CATENE E LIBERTA’
C’è il razzismo che esplode e si arma, come nel raid di Traini, e c’è la paura che può diventare un sentimento di razzismo in chi razzista non è e continua a non dichiararsi tale. Tra la gente di Macerata e di altre città è quest’ultimo l’atteggiamento sempre più diffuso. «La sinistra - incalza Minniti - deve capire le paure delle persone e liberarle da quelle paure. Mentre i populisti quelle paure le alimentano e vogliono incatenare le persone dentro quell’angoscia da insicurezza». 
Il problema è che la sinistra su questi temi ha sempre sbagliato. Si è dimostrata «aristocratica», come spiega Minniti, e le difficoltà del presente - ossia «l’incomunicabilità» che spesso divide con «un muro di diffidenza» la politica e il popolo in materia di sicurezza - derivano da un approccio minimizzante che i cosiddetti progressisti hanno avuto rispetto a certi bisogni dei cittadini. Minniti cita un aneddoto. «Alla fine degli anni ‘90, quando ero sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, c’erano le elezioni comunali a Bologna. Mi dicono di andare lì, spiegandomi: rischiamo di perdere a causa del tema della sicurezza. Io mi faccio dare dal capo della polizia i dati sulla criminalità a Bologna, arrivo lì e dico tutto tranquillo: c’è solo un attentato incendiario all’anno, mentre nella mia Reggio Calabria ce ne sono 5 ogni notte. Insomma minimizzo. Si alza un anziano compagno e mi fa: Minniti, ma tu hai capito di che cosa stiamo parlando? Di un sentimento. Se tu rispondi a un sentimento con le statistiche, non hai capito nulla». Conclusione: «Dopo qualche giorno si votò e noi per la prima volta nella storia repubblicana perdemmo Bologna, dove vinse Giorgio Guazzaloca proprio sul terreno delle politiche per la sicurezza». 
LA LISTA CIVICA
La morale della favola (noir) è che «non esiste la paura percepita e la paura effettiva. Esiste un’unica paura. E se c’è la percezione della paura, il problema è reale. Chi ha a cuore la democrazia, di fronte a uno che ha paura, deve ascoltarlo e mettersi dalla parte delle sue paure. Così si ha consenso». Sennò, si perde. E magari, ma questo Minniti non lo dice, la sinistra magari perderà il 4 marzo, perché le verranno fatti scontare tutti i suoi ritardi storici su questo terreno. O magari la svolta securitaria di Minniti - insieme al Patto con l’Islam italiano siglato dal governo, «ed è l’unico governo europeo che ha chiuso un accordo così» - si rivelerà d’aiuto per le sorti elettorali del Pd. Racconta un altro aneddoto il ministro a questa platea di intellettuali anche critici: «Vivevo e facevo politica a Reggio, città super di destra, negli anni ‘70. Proposi di presentarci alle elezioni non con il simbolo del Pci, ma con una lista civica: l’Altra Reggio. Mi convocarono a Botteghe Oscure, e alti dirigenti del partito mi dissero: Minniti, devi misurarti con Reggio, non con un’Altra Reggio tutta immaginaria. Quello fu per me un bagno di concretezza. Significava e significa che soltanto con l’aderenza alla realtà e con la pazienza della ricerca del consenso si cambiano le cose. Il mio grande convincimento, ora, è che rispetto ai fenomeni migratori bisogna passare dall’illegalità alla gestione legale dei flussi. Così si rassicura la popolazione e si crea una forma nuova di convivenza». Nella speranza che non sia troppo tardi.

 

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