Mezzogiorno e lotta al disagio tra le priorità del nuovo premier

Martedì 13 Dicembre 2016 di Alberto Gentili
Mezzogiorno e lotta al disagio tra le priorità del nuovo premier
«Non mi nascondo le difficoltà che derivano dall’esito del referendum e dalla successiva crisi politica. Ma farò del mio meglio per garantire stabilità al Paese e non ignorerò il disagio, specie nelle fasce più deboli del ceto medio e nel Mezzogiorno dove l’emergenza-lavoro è più drammatica. Sarà questa la vera priorità del governo». Paolo Gentiloni riparte dalla sconfitta del 4 dicembre. Da quel 60% di No, in gran parte figlio del disagio sociale, che ha spedito a casa Matteo Renzi.

Il nuovo premier non disconosce il suo predecessore. Anzi. Tiene a battesimo, con la benedizione del capo dello Stato, un governo molto simile a quello del segretario pd. E lasciando il Quirinale, mette a verbale: «Il mio esecutivo, come si vede anche nella sua struttura, proseguirà l’azione di innovazione fin qui svolta dal governo guidato da Renzi». Poi, baci e abbracci a palazzo Chigi durante la cerimonia della campanella: il passaggio di consegne. Anche per la ricostruzione post terremoto: Renzi dona a Gentiloni la felpa con la scritta “Amatrice”. Poi, aprendo il suo primo Consiglio dei ministri, il nuovo premier mette a verbale: «Senza Matteo sarà più difficile, dovremo impegnarci di più tutti».

GOVERNO SENZA AGGETTIVI
Detto questo, Gentiloni non vuole aggettivi per il suo esecutivo. Né «breve». Né «a scadenza». E neppure intende apparire come il ventriloquo o tantomeno il burattino di Renzi. Così, con le delegazioni dei partiti che incontra prima di salire al Quirinale, non fissa termini. Non stabilisce una data in cui il suo governo andrà a casa per aprire la strada alle elezioni. «Ho una precisa agenda e intendo portarla avanti. Nessun esecutivo nasce con una scadenza, sta in piedi finché ha la fiducia del Parlamento...», dice e ripete rinfrescando ai suoi interlocutori la prassi e il diritto costituzionale.

E poi Gentiloni spiega, e rispiega, che il suo sarà «un governo normale». Un governo che non ha voluto fosse la fotocopia, in tutto e per tutto, dell’esecutivo-Renzi. Da qui la battaglia, condotta con toni felpati e mosse garbate, per non confermare Maria Elena Boschi alle riforme (ma farà la sottosegretaria alla Presidenza). Per evitare che il braccio destro di Renzi, Luca Lotti, mantenesse la delega ai servizi segreti (il premier al momento la terrà per sé, Lotti sarà ministro allo Sport). Per impedire che nella sua squadra entrassero esponenti del partito di Denis Verdini, anche a costo di dover ballare (e parecchio) in Senato. A causa di un veto arrivato direttamente dal quartier generale del Nazareno salta, invece, l’ipotesi dell’ingresso nel governo di un esponente della sinistra dem.

Questa partita Gentiloni riesce a chiuderla in meno di 30 ore. Dalle 12 di domenica, quando riceve l’incarico da Mattarella, alle 17.30 di ieri quando scioglie la riserva. Un record. Conseguito per rispondere alle esigenze di urgenza sottolineate dal capo dello Stato «per assicurare stabilità». Ma anche, e soprattutto, per non restare impantanato in pericolose trattative notturne. «Ho fatto del mio meglio per formare l’esecutivo nel più breve tempo possibile», sottolinea al Quirinale, «ora mi metto immediatamente al lavoro con tutte le mie forze».

Oggi Gentiloni affronta le Camere. I suoi garantiscono che farà un discorso breve e «sobrio», «com’è nella sua natura». Un discorso in cui ripeterà che la sua «priorità è far fronte al disagio sociale e alla mancanza di lavoro nel Mezzogiorno»: «La creazione di un dicastero ad hoc con De Vincenti sta lì a dimostrarlo». E in cui confermerà l’approccio delle prime ore: «Bisogna ricucire il Paese, rinunciare ai toni divisivi. Con le opposizioni avrò un approccio diverso, credo sia possibile inaugurare una stagione nuova». Ancora: «Questo governo normale vuole avere un’opposizione normale».

Insomma, Gentiloni lavora a una pax parlamentare. E cercherà, con questo approccio soft, di convincere Grillo, Salvini e la Meloni a scendere dalle barricate. «Del resto per litigare bisogna essere in due». Chiaro il messaggio: adesso che Renzi è tornato al Nazareno, a palazzo Chigi i grillini e i leghisti non troveranno sparring partner con cui incrociare i guantoni.

ARTIGLIERIE LONTANE
Proprio per allontanare le artiglierie da palazzo Chigi, per mettere il suo governo al riparo quanto più possibile dalle fibrillazioni, Gentiloni intende tenersi ben lontano dalla legge elettorale: «Avrò un ruolo di semplice facilitatore, non sarò il protagonista di questa trattativa», spiega durante le consultazioni e ripeterà oggi in Parlamento. Tanto più che la trattativa sulla modifica dell’Italicum e del Consultellum si annuncia infuocata. E gravida di flop: «Con ogni probabilità torneremo purtroppo alle urne senza alcun accordo parlamentare, saranno le norme modificate dalla Consulta a decidere i meccanismi elettorali», dice un autorevole esponente del Pd.

Da ministro degli Esteri uscente, nel suo discorso Gentiloni darà ampio spazio poi alla politica estera. In vista del Consiglio di europeo di giovedì che ha in agenda la questione migranti, spiegherà che l’Italia vuole l’applicazione del Migration compact: gli accordi con i Paesi di origine. Che chiede l’obbligatorietà degli accordi per il ricollocamento dei profughi. Inevitabile, infine, un riferimento alla necessità di politiche espansive per crescita.

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Ultimo aggiornamento: 16:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA