Mattarella e il Paese diviso: quell'ordalia da fermare

Martedì 29 Maggio 2018 di Mario Ajello
Mattarella e il Paese diviso: quell'ordalia da fermare
Ralf Dahrendorf la chiamava «politica della situazione». Siccome la situazione è molto grave e confusa, tutti fomentano se stessi e gli avversari - ma ormai è tornata la vecchia dizione: «nemici» - per renderla ancora più eccitata e incandescente. E al centro dell'ordalia che si poteva evitare, se non fossero fioccati errori da ogni parte, c'è il presidente Mattarella. Il quale è sempre stato la persona meno divisiva del mondo, poi è fragorosamente (avverbio che non gli si adatterebbe) finito nella contesa e ora è persino diventato oggetto di minacce anche fisiche, bersaglio di ogni accusa, simbolo del «tradimento di sovranità».

Anche dall'estero, Bannon contro e Macron a favore, piovono le frecciate di autorevoli intellettuali come Paul Krugman - premio Nobel per l'economia - il quale si dice addirittura «inorridito» per il comportamento di Mattarella. E gli si rivolge così: «Proprio non ti piacciono i partiti populisti, che hanno vinto con un chiaro mandato elettorale, al punto da escluderli dal potere».

SERVE LA MORATORIA
Bordate su bordate. E la Costituzione tirata di qua e di là (poteva mancare il manifesto firmaiolo, il «firmamento», dei costituzionalisti pro Colle? No, e infatti eccolo); la manifestazione grillina alla Bocca della Verità (tipico luogo da raduno degli antagonisti di estrema sinistra) che il 2 giugno non festeggerà la nascita ma la «morte della Repubblica» a causa di un «garante che non garantisce» (con il paradosso Di Maio all'assalto delle istituzioni e Fico che invece le rappresenta pur essendo sempre stato più estremo del collega e in quel giorno apre le porte della Camera al popolo); la Lega che nello stesso giorno scatena «mille piazze» denunciando il «golpe»; il Pd che già ha avviato in tutta Italia sit-in di solidarietà quirinalizia; la rissa delle propagande «voi servi della Germania» e voi «sfascisti» (Orfini si spinge fino a fascisti) anti-Ue. E si potrebbe continuare a lungo nell'elenco di questa guerra civile simulata. Conviene fermarla subito, mettere fine all'impazzimento generale, trovare qualche antidoto - il senso di responsabilità, l'amor di patria, un sussulto di dignità o magari perfino gli psicofarmaci se servono a placare le rabbie - a questa deriva che è chiaramente originata da una rivoluzione interrotta.

Se il voto del 4 marzo avesse avuto uno sbocco di governo, se le forze vincitrici delle elezioni fossero state messe in condizione di creare un nuovo assetto o comunque una forma di stabilità almeno per cominciare, questa rapida caduta nella spirale del fango non si sarebbe avuta. Ed è quella che spinge a gesti estremi come questo. Il segretario lombardo della Lega, il Grimoldi, che invita i sindaci a togliere la foto di Mattarella dagli uffici pubblici. E una decina di sindaci in Lombardia e nelle Marche cominciano a farlo, e al posto di quella del Capo dello Stato spunta sui muri comunali l'effigie di Alberto da Giussano. Mentre Di Maio lancia l'appello «appendete il tricolore alle vostre finestre» (per salvare la patria dai raggiri di Palazzo) e da sinistra sui social l'andazzo è lo stesso: «Sventoliamo la bandiera italiana contro quelli che vogliono fare la Marcia su Roma». A cui, il primo giugno, il Pd contrappone, in anticipo, una sorta di marcia di liberazione dalle pulsioni «eversive» attribuite al nemico. E Gentiloni è già in piazza Castello a Torino, e twitta foto neo-resistenziali, nell'adunata dem «in difesa della Costituzione». Che dicono di voler difendere, ma in senso opposto, anti-Colle, anche i due governatori leghisti Fontana e Zaia.

Ogni immagine risulta sproporzionata e la semplificazione si prende tutto il campo. Da una parte la massa da tenere a bada (sennò fa come gli inglesi, non Brexit ma Italexit); dall'altra un'élite di esperti - odiati parrucconi cavillosi, secondo la vulgata giallo-verde - che liberatasi del Salvimaio ha trovato il suo eroe in Cottarelli. Che però viene fischiato davanti a Montecitorio da cittadini che urlano: «Vogliamo un esecutivo votato dagli italiani». E' drogata l'aria. Ringhiare contro gli avversari (ammesso che di avversari si tratti, e non di capri espiatori della rabbia che sociale e personale prima ancora che politica), denigrarli, disprezzarli sta producendo una gratificazione molto intensa e tossica. La gratificazione tipica delle tossicodipendenze. Ma ormai, errore dopo errore, errori politici ed errori istituzionali, si è aperto il vaso di Pandora. Perfino in forme comiche, se ancora avessimo voglia di ridere. Ieri la puntata di Tagadà, su La7, si è chiusa con la conduttrice Tiziana Panella che esprime «solidarietà al Presidente della Repubblica». Mentre la Zanzara, annunciando il filo diretto radiofonico su Mattarella e prevedendo il pulp, avverte tramite uno dei due conduttori, Parenzo: «Non ci dovranno essere insulti al Capo dello Stato».

IL FAKE DEL 48
Nessuno avrebbe potuto immaginare, conoscendo la prudenza del personaggio, che alla sua prima uscita politica vera potesse essere scaraventato giù dal piedistallo. Nel diluvio di pollici alzati e di pollici versi - che hanno fatto andare in tilt il sito del Colle - ecco perfino Giulio Cesare (uno che che si fa chiamare così e la foto del suo account è quella dell'imperatore romano): «Siamo incacchiati neri con te, Mattarella, proconsole germanico. E non resta che scendere in piazza». Un clima, insomma, da politica super-combat che neanche nel 48. Settant'anni fa, avrà pure impazzato la malafede ideologica ma almeno non c'erano né gli haters né i likers.
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