Consultazioni, nuovo giro al Quirinale giovedì e venerdì

Martedì 10 Aprile 2018
Consultazioni, nuovo giro al Quirinale giovedì e venerdì

Nuovo giro di consultazioni al Quirinale giovedì e venerdì alla ricerca di una intesa fra i partiti per formare un nuovo governo che al momento resta molto difficile. In questa circostanza Sergio Mattarella, a differenza del primo giro di incontri, partirà con le forze politiche e chiuderà con le alte cariche istituzionali. Giovedì gli ultimi a salire al Colle saranno sempre i 5 stelle, mentre il centrodestra unito rimarrà nella casella già assegnata alla Lega al primo giro. Lo si apprende da fonti parlamentari.

Intanto è guerra di percentuali fra M5S e Lega: è stato un crescendo di attriti fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio e sembra allontanare l'ipotesi di un incontro fra i due leader che si sarebbe dovuto tenere prima dei colloqui con il capo dello Stato. Le possibilità di fare un governo «ammucchiata» centrodestra-5stelle sono pari «allo zero», chiarisce infatti il leader dei pentastellati gelando Salvini, che poco prima aveva alzato l'asticella al 51 sulle possibilità di un governo insieme. Ieri a fine giornata, come racconta il leader leghista, i due non si sentono ma ribadiscano i paletti a distanza. Tenuto conto delle tensioni anche all'interno della coalizione di centrodestra e della ribadita indisponibilità del Partito democratico a incrociare i propri destini con i vincitori delle elezioni resta difficile immaginare una soluzione a breve per dare vita a un governo e, in molti continuano a dirsi convinti che prima della fine di aprile, quando si saranno consumate le regionali in Friuli Venezia Giulia e in Molise, il quadro non sia destinato a schiarirsi.

Se i rapporti 5S-Lega sono dunque tesi e complicano la ricerca di una soluzione, anche nella coalizione Fi-Lega-Fdi si continuano a registrare divergenze come testimonia lo stop di Salvini, impegnato in un tour per vincere in Friuli Venezia Giulia, a ulteriori vertici: «Non è - dice - che possiamo vederci tutti i giorni. Esiste il telefono fortunatamente nel 2018». Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia, insieme a Forza Italia insiste nella richiesta di cercare voti in Parlamento per dare vita a un Esecutivo: «Chiederemo - annuncia la leader di Fdi - al presidente della Repubblica di avere il mandato per provare a formare il governo con chi ci sta». Un punto su cui però il leader leghista resta di avviso diverso: «Io mi sento pronto a prendere per mano questo Paese ma solo con una maggioranza certa. Serve un accordo scritto tra centrodestra e Cinque Stelle». Al di là «dei veti o delle simpatie - ribadisce sempre Salvini parlando ai 5S - facciamo qualcosa o no? Se la risposta è no, i numeri sono numeri, si torna al voto». Poi i toni si inaspriscono ancora: «Di Maio, in questo momento - taglia corto Salvini - mi interessa meno di zero».

Ma sono zero anche, ribadiscono i Democratici, le probabilità di un'intesa Pd-M5S o Pd-centrodestra: «Non sono d'accordo a fare un governo con chi ha delle ricette diverse dalle nostre», sottolinea infatti Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera. E mentre «fra i vincitori regna il caos - si smarca il reggente del partito, Maurizio Martina - noi proviamo a fare buona politica». Da parte loro, però, anche i 5S rivendicano essere quelli pronti a puntare tutto sul cambiamento: «Non avrebbe senso fare il presidente del consiglio per tirare a campare», dice infatti Di Maio, anche lui in tour elettorale ma in Molise, che a fine serata si mostra però più ottimista assicurando «che ce la metteremo tutta per creare un governo del cambiamento prima della fine del mese».

«Coerenti con quello che abbiamo detto dall'inizio e responsabili verso l'Italia». il reggente dem inanto tiene il Pd su una linea di minoranza propositiva: non ci si attendono scostamenti nella riunione dei gruppi parlamentari, convocata per stasera al Nazareno in vista del secondo giro di consultazioni. Il reggente stressa il «caos» creato dai «cosiddetti vincitori» di centrodestra e M5s. E pone i Dem in attesa delle mosse degli altri sul governo. Una modalità che aiuta anche a contenere le tensioni nel partito.

Nella riunione congiunta dei parlamentari Pd non è previsto alcun voto: Martina dovrebbe illustrare la linea di opposizione, ma anche le iniziative che il Pd prenderà alla partenza dei lavori delle Camere, come la proposta di estendere il reddito di inclusione. Ma i «dialoganti», che avrebbero auspicato dall'inizio maggiore apertura al M5s, dovrebbero prendere la parola. Dario Franceschini potrebbe ribadire la necessità di riflettere su come evitare al Paese l'abbraccio di governo M5s-Lega. Non ci si può limitare, dice Andrea Orlando, a «prendere i pop corn, perché in democrazia nessuno è spettatore». Sono «remote», ammette lo stesso Orlando, le possibilità di intesa e «poco credibile» la proposta di Di Maio. Ma il Pd, secondo il ministro, dovrebbe essere più propositivo, a partire dai temi del sociale. Anche perché dopo il secondo (o forse il terzo) giro di consultazioni, potrebbero aprirsi - concordano i seguaci di Franceschini, Olrando ed Emiliano - spazi a un dialogo con M5s su un governo istituzionale non a guida Di Maio.

Anche in questo caso, dissentono però i renziani, le possibilità di un governo Pd-M5s sono «zero». «Ci invitano all'abiura di quanto fatto, i loro passi sono terrificanti», commenta il capogruppo al Senato Andrea Marcucci. E anche Delrio tiene. «Staremo all'opposizione per necessità - dice un dirigente dem - perché non possiamo votare la fiducia al M5s e l'appoggio esterno a un governo di centrodestra lo esclude Salvini. A meno che...». A meno che l'impasse non si protragga nel tempo: tra un mese, spiega Delrio, la discussione «potrà diventare più matura non nel senso di un riposizionamento del Pd» ma di un «cambiamento di approccio» del M5s.

Se lo stallo fosse conclamato, secondo più d'uno, lo stesso Renzi potrebbe tornare sull'unica ipotesi cui finora ha aperto: un governo con tutti. Oggi, ipotesi irreale. L'ex segretario, che potrebbe andare all'assemblea dei gruppi, agli interlocutori ribadisce che parlerà il 21 aprile in assemblea, con un discorso di rilancio. Un rilancio sulla linea politica, che non preluderebbe però alla mossa, a lui suggerita da qualche fedelissimo, del ritiro delle dimissioni da segretario. Al contrario, in assemblea Renzi potrebbe decidere di sostenere l'elezione di Martina o puntare su un nome alternativo, come Ettore Rosato. Ma tiene per ora aperta anche l'ipotesi, che Delrio proporrà formalmente, di convocare subito il nuovo congresso.

Sarebbe meglio, ribatte Orlando, eleggere un segretario, se questo «non produrrà ulteriori divisioni». Alla minoranza andrebbe bene Martina, ma in alternativa la scelta potrebbe essere andare a congresso e provare lì a strappare il partito a Renzi con un candidato come Nicola Zingaretti. È qui il punto, sostiene Roberto Giachetti: chi apre sul governo, come Orlando e Franceschini, lo fa per un posizionamento interno, per indebolire Renzi. Ma, lo difende Delrio, «il problema del Pd non è Renzi, lasciamolo in pace».

 

Ultimo aggiornamento: 15:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA