Gentiloni e le elezioni anticipate: «Non sarò io a spegnere la luce»

Mercoledì 31 Maggio 2017 di Alberto Gentili
Gentiloni
Non sono solo Angelino Alfano, Andrea Orlando, e qualche centinaio di peones, a non volere le elezioni anticipate. Contro il voto d'autunno si schierano praticamente tutti i ministri di fede non strettamente renziana, incluso il responsabile dell'Economia, Pier Carlo Padoan: «Sotto ciclo elettorale le riforme sono difficili». Soprattutto scende in campo il diretto interessato: Paolo Gentiloni.

Il premier, preoccupato e contrariato all'idea di andare alle urne in piena sessione di bilancio con il rischio dell'esercizio provvisorio, esce allo scoperto in occasione della conferenza stampa con il leader canadese Justin Trudeau. A una precisa domanda sul destino del governo, Gentiloni mette a verbale: «L'esecutivo è nella pienezza dei suoi poteri. Ha impegni in corso, in Parlamento e non solo in Parlamento, che intende mantenere. E resterà in carica finché avrà la fiducia del Parlamento».

I TIMORI DI PALAZZO CHIGI
Sembrano parole ovvie, anche se un precedente c'è: Carlo Azeglio Ciampi nel maggio del 1994 si dimise senza essere stato sfiduciato. E da palazzo Chigi diffidano ad «attribuire al premier qualsiasi altra cosa rispetto a ciò che ha detto in conferenza stampa». Eppure, nelle ultime ore - mentre Renzi, Berlusconi e Grillo stringevano un'intesa sulla legge elettorale condizionata alle elezioni anticipate - sono montate le perplessità di Gentiloni. Il premier ha sussurrato ai suoi una frase che la dice lunga sulla delicatezza, anche sotto il profilo umano, della partita in corso: «Non potrò essere io a spegnere la luce...».

Gentiloni e il leader dem vengono descritti «amici di una vita». Renzi, qualche giorno fa, ricordò che fu lui nel 2013 a chiedere a Pier Luigi Bersani di candidarlo alla Camera. E ieri ha detto: «Sostenere il governo Gentiloni è sostenere noi stessi». Tant'è che tutti, ma proprio tutti, al Nazareno assicurano «che tra i due non ci sarà mai un problema, Paolo farà ciò che gli chiederà Matteo».

Il premier, infatti, non si metterà di traverso. Non resisterà pretendendo di essere sfiduciato in Parlamento, se il segretario del Pd vorrà (com'è ormai certo) andare sparato alle elezioni una volta approvata la riforma elettorale. Ma appunto, per questioni di principio e di galateo istituzionale, nelle ultime ore Gentiloni ha maturato la convinzione che non potrà essere lui a salire di sua iniziativa al Quirinale per dimettersi. Sarà necessaria la richiesta formale del Pd o di uno dei partiti che sostiene il governo. Perché, come ricorda il suo amico Ermete Realacci, «Paolo ha sempre detto, e ha appena ripetuto, che il governo resta in carica finché ha la fiducia del Parlamento. Una cosa del resto ovvia: è scritto nella Costituzione».

Dal Quirinale - dove si osserva con sollievo l'evaporare delle minacce di crisi immediata di Ap e Mdp - poco o nulla filtra rispetto a questa delicata questione. Sergio Mattarella da quando si è insediato sul Colle chiede al Parlamento - come ha ricordato ieri sera Renzi nella Direzione del Pd - di varare una nuova legge elettorale. Perciò il capo dello Stato non intende alzare alcun ostacolo che possa far arenare la trattativa tra Pd, Cinquestelle, Forza Italia e Lega. E dire adesso, non si può votare in autunno, mentre almeno tre dei quattro contraenti lavorano all'intesa proprio per andare alle elezioni, potrebbe far saltare l'accordo. Tant'è, che chi ha parlato con il Presidente lo descrive come «un osservatore neutrale». Un osservatore che, in caso di dimissioni di Gentiloni a luglio, si limiterebbe a prenderne atto aprendo la strada alle elezioni. «Del resto come si fa a tenere in piedi un Parlamento se i maggiori partiti ne chiedono lo scioglimento?», osservano al Nazareno.

LA SCADENZA NATURALE
Ciò detto, anche al Quirinale si preferirebbe un altro epilogo. La soluzione migliore, come suggeriscono i sobbalzi della Borsa, gli altolà di Confindustria e i timori dell'esercizio provvisorio, sarebbe arrivare a scadenza naturale (la primavera del 2018). Evitando così la pericolosa sovrapposizione in autunno tra la sessione di bilancio e il voto anticipato. Anche perché è tutt'altro che certo che dalle urne esca un chiaro vincitore. E, dunque, un governo che metta subito mano alla manovra economica. Da qui l'appello informale di Mattarella alle forze politiche affinché, in caso di impasse post-elettorale, si impegnino comunque ad approvare la legge di stabilità scritta da Gentiloni e Padoan. Per mettere in sicurezza il Paese e scongiurare tempeste finanziarie stile 2011.
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