Di Maio, festa rovinata dal flop delle primarie: «60mila votanti»

Sabato 23 Settembre 2017 di Mario Ajello
Di Maio (Lapresse)

dal nostro inviato
RIMINI
Le cerimonie dell'incoronazione non possono andare male. Un re, o un viceré come nel caso di Giggino, non può inaugurare la sua epoca sotto cattivi auspici. Eppure, quando Luigi Di Maio è arrivato a Rimini, è entrato nella stanza d'albergo di Davide Casaleggio - stanno entrambi all'Hotel Fra i Pini, un tre stelle - e in quella camera si è svolta una scena che entrambi si sarebbero voluti risparmiare. «Quanti hanno votato? E quali sono i risultati?», chiede ansioso Giggino. Davide è quello di sempre, un tipo freddino, e non si smentisce neppure questa volta: «Dobbiamo ancora calcolare bene, ma saranno circa 60 mila i votanti», avrebbe risposto in maniera secca. 60 mila soltanto, e magari neanche quelli? Chissà, visto che le cifre ufficiali si sapranno oggi.

Ma la sensazione è quella del non pienone e della vittoria dimezzata. «Ma i problemi sono solo problemi tecnici?», insiste Di Maio. Tecnici, sì. Ma politici, pure. E delle primarie farsa non potevano che suscitare smobilitazione e spingere gli eventuali elettori a dirsi così: ma se tutto è già deciso, che clicco a fare la mia preferenza? Che senso ha?

BOOMERANG
Potevano votare in 140.000, tanti gli iscritti a Rousseau, e lo hanno fatto in pochi. E primarie così si sono rivelate un boomerang. È quello che vola in una festa che in queste condizioni non può essere festosa. Il flop della partecipazione è una mezza tegola che cade sulla testa dell'incoronato. Ed è la prova che c'è dissenso sulla Gigginocrazia. E il pratone della kermesse che è tutt'altro che pieno di gente? E le sottoscrizioni arrivate meno delle altre volte? Altro indice che nel regno che passa di mano il delfino o viceré avrà vita non semplice.

E del resto Di Maio è arrivato a Rimini piuttosto provato, dopo aver dovuto gestire in Sicilia la catastrofica questione giudiziaria del sindaco di Bagheria. Ha l'aria di uno che non si vuole perdere d'animo, ma il suo proclama che era pronto - «Sarò un premier autonomo da Grillo» - già da oggi, giorno del suo battesimo da plenipotenziario, dovrà essere rivisto. Perché la strana performance alle primarie-solitarie dice che i grillini vogliono ancora aver bisogno di Grillo. E questo è un problema anche per Grillo, desideroso di tornare al suo vecchio mestiere di comico. Ma a questo punto come si fa?

Parlano tutti di Giggino tra il prato e la ghiaia della festa senza brio. Ne parlano bene. Ma è come se il fuoco sacro della lotta di un tempo si sia afflosciato. E le primarie che dovevano diventare il grido di un popolo che urlava Di Maio e dovevano essere una cosa spaziale - il logo della festa non a caso è un razzo che porta la compagnia nel cielo del potere - rischiano di rivelarsi un boomerang.

Giggino il viceré poteva arrivare alla festa spagnoleggiando con passo da padrone - e farsi dire da tutti: «Ciao, Luigi», «Luigi, ti ricordi di me?», «Luigi .... Luigi... Luigi...» - invece si fa attendere a lungo. Resta chiuso in albergo, in una stanza che diventa un bunker inaccessibile, lui e la sua coach esistenziale, motivatrice e consigliera per la comunicazione, ossia la fidanzata Silvia Virgulti, e si cerca di valutare con freddezza l'esito della votazione e il grado di affluenza. Ma arriva o non arriva alla festa? Lo aspettano tutti. Molti sono pronti a dirgli così: «Devi solo applicare il programma del movimento quando sarai premier. E non sgarrare, eh....». Intanto si è affacciato dalla sua stanza di albergo e si limita a dire: «No comment». Non vuole parlare delle primarie: «Dirò la mia domani dal palco».

LA SQUADRA
Nel frattempo, il prescelto sta pensando alla squadra di governo che al più presto intende presentare. Frullano nomi. Ma frulla soprattutto un format. «Il nostro dovrà essere il governo dei competenti. Questo serve», è il suo mantra. E qualcuno gli dà un suggerimento probabilmente esagerato: «Un modello potrebbe essere il primo governo Prodi. Caspita quanti cervelloni c'erano lì dentro». Ma il pasticcio delle primarie rende ancora più prematuri questi scenari.

Giggino prepara il discorso di oggi, e lo spartito sarà questo: «Saremo noi a riformare l'Italia».

Dunque la rivoluzione che bisognava fare non s'e fatta e non si farà. Ma già la prossima settimana Giggino partirà per uno dei suoi tour all'estero che lo porteranno - oltre che in Giappone - anche negli Stati Uniti. Alla ricerca della benedizione americana che tutti gli aspiranti statisti di quaggiù hanno rincorso e voluto come timbro di legittimazione urbi et orbi. Grillo lo ha incoraggiato: «Gli americani ci amano». E sempre Beppe, scherzando, si prepara per domani: «The winner is....».

Ultimo aggiornamento: 09:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA