Beppe l'imitatore rispolvera il bavaglio: i suoi tribunali caricatura delle purghe

Mercoledì 4 Gennaio 2017 di Mario Ajello
Beppe l'imitatore rispolvera il bavaglio: i suoi tribunali caricatura delle purghe
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Perfino Pier Paolo Pasolini, che era intellettualmente superiore a Beppe Grillo, propose una sorta di tribunale del popolo per processare in piazza il Palazzo. Ma nel leader Cinque Stelle il ricorso alla strumentalizzazione totalitaria e al bavaglio, di marca Robespierre e Stalin, della giustizia popolare - proprio mentre fa la finta mossa garantista - sembra diventato ormai un tic. Prima Grillo invocava il processo pubblico per imprenditori e politici, ora rincara la dose sui giornalisti. Indicando in maniera per fortuna non violenta - ma con una leggerezza evidentemente immemore dei cosiddetti tribunali del popolo delle Brigate Rosse che condannavano personaggi come Montanelli, per non dire di Tobagi - gli operatori dell'informazione come nemici pubblici.

Il gusto della spettacolarizzazione del processo virtuale a chi non condivide le tue idee sembra una forma nuova, ma neanche tanto, delle peggiori abitudini in uso nel 900 della malafede ideologica. A riprova che forse quello non è stato - come sosteneva il grande storico Eric Hobsbawm - un secolo breve. Allora come ora, il tribunale del popolo non prevede la difesa o la presunzione d'innocenza - non era diventato garantista Beppe? - o almeno Grillo non ne parla nella sua nuova esternazione che cerca di coprire, a colpi di iper-comunicazione, una difficoltà politica evidente che ha come epicentro Roma.

L'ENTE SUPREMO
Il giacobinismo pentastellato, questa sorta di Inquisizione in nome di una verità che sarebbe quella auto-certificata dall'Ente Supremo accasato in una villa di Genova e nell'ufficio di una società milanese, s'ispira a una maccheronica filosofia del diritto così funzionante: o l'informazione dice ciò che voglio io o la metto alla gogna e i direttori dei giornali chiedano scusa a capo chino. Così riusciranno a salvarsi dal marchio della lettera scarlatta? Così si salveranno dalle purghe? Non si dovrebbero scomodare paragoni tragici, quando la storia - o meglio, la cronaca - viene ridotta a farsa. E tuttavia, dal 1934 al 1945, esisteva in Germania un tribunale del popolo, il Volksgerichtshof, che si occupava dei reati politici contro il regime nazista. Altre epoche, altre storie, ma ci sono delle formule, e il tribunale del popolo è una di queste, che andrebbero maneggiate con una cura particolare.

La giuria popolare, tra Gesù e Barabba, cioè tra verità è post-verità, scelse il secondo. E nella versione del giustiziere stellato, che di questo sinedrio si auto-eleggerebbe presidente coadiuvato dal Dibba, non potrebbe che funzionare secondo il codice di Beppe, il quale prima del referendum del 4 dicembre prescrisse: Bisogna votare con la pancia, non con la testa. E la pancia è l'organo che più si addice a preferire le bufale. La giuria popolare va bene per il Grande Fratello, non solo quello da cui proviene Rocco Casalino, presunto stratega della comunicazione grillina, ma anche quello di George Orwell. E va bene per il festival di Sanremo, che oltretutto non è lontano da Sant'Ilario, dove risiede Beppe. La prossima trovata sarà l'applausometro per i giornalisti?
LUCI
Il presidente in pectore di questo tribunale del popolo, che decreta la veridicità o meno dell'informazione, oltretutto è quello che ha appena postato la foto del Capodanno organizzato a Roma dal sindaco Raggi, rubando maldestramente l'immagine di un Capodanno pieno di luci e divertimenti del tempo di Ignazio Marino. Grillo, per questo e altro, non dovrebbe condannare se stesso? E quando sostiene che la mammografia è un imbroglio, che l'Aids non esiste, che il pomodoro anti-gelo ha ucciso 60 ragazzi, che i vaccini sono inutili, a quanti anni di interdizione dai pubblici uffici della parola dovrebbe essere condannato il presidente del tribunale dal suo tribunale? E se una giuria popolare dovesse giudicare gli spettacoli di Grillo, sulla base della dicotomia vero-falso, come si esprimerebbe?

Insomma non più in nome del popolo italiano viene amministrata la giustizia, ma in nome del blog. Ecco come la comicità crede di essere andata al potere. Ma non fa ridere affatto.

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Ultimo aggiornamento: 09:02 © RIPRODUZIONE RISERVATA