Libia, Mosca accusa: raid Usa illegali. Ma l'Onu li difende: «Un mese di bombe»

Mercoledì 3 Agosto 2016 di Fabio Morabito
Putin
Mosca non ci sta. L'intervento degli Stati Uniti in Libia ha reso inevitabile, per ragioni politiche, una reazione russa. Prima di tutto perché il Cremlino ha i suoi progetti sulla Libia, preferendo uno Stato diviso in due; poi perché non intende perdere l'occasione di mettere in mora Washington, che più volte ha polemizzato con Putin sul suo interventismo in Siria.

Ma la reazione, almeno fino a ieri sera, è cauta, e non proviene dai vertici del Paese. Nulla è casuale in questa partita diplomatica. A parlare è Ivan Molotkov, ambasciatore russo in Libia: «Dal punto di vista della legittimità probabilmente» gli americani «non avevano questo diritto». E poi, a domanda specifica dell'agenzia moscovita Interfax, Molotkov ha risposto sulla necessità di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu: «Parto dal presupposto che sì, senz'altro».

IL DOCUMENTO APPROVATO
Da Mosca poco di più. «La Russia - si legge in una nota del ministero degli Esteri - si è sempre detta a favore di azioni risolute per eliminare l'Isis e altri gruppi terroristici, a prescindere da dove si trovino, nel pieno rispetto delle norme del diritto internazionale». Tutto qua. Quindi una reazione dai toni pastello, che si limita a suggerire un sospetto d'illegalità dei raid statunitensi. La contro-replica è delle Nazioni Unite, che rimarca che i raid sono coerenti a una risoluzione già approvata.
 
Il messaggio è affidato al portavoce del segretario generale Ban Ki-moon, Farhan Haq: l'intervento di Washington è stato deciso solo dopo la richiesta ufficiale del governo libico di Unità nazionale (quello riconosciuto dall'Onu) di Fayez al Serraj. Ed è in linea con il testo della risoluzione numero 2.259 del Consiglio di Sicurezza votato anche dalla Russia. Risoluzione che è stata il frutto di una trattativa durata alcune settimane, e dove in un passaggio-chiave si esorta a sostenere il governo di Unità nazionale «su sua richiesta, nella lotta contro l'Isis».

SENZA IL VOTO DEL CONGRESSO
Il presidente Usa, Barack Obama, ha spiegato ieri che Washington sta lavorando con il governo di Tripoli «per assicurarsi che l'Isis non abbia una roccaforte in Libia». Difficile non pensare che l'azione della Casa Bianca e il suo interventismo sia un avviso rivolto anche ad altri, come la Turchia, alleato nella Nato ma ora in rapporti tesi con Washington. Ma certo mette fuori gioco il governo di Tobruk, che ha definito «inaccettabile» l'intervento straniero, perché l'esecutivo di Unità nazionale non ha avuto ancora «la nostra fiducia». Stavolta Obama non ha perso tempo, non ha aspettato il voto del Congresso (dove l'opposizione repubblicana poteva frenarlo) facendo riferimento all'autorizzazione nella lotta al terrorismo incassata ormai parecchi anni fa quando alla Casa Bianca c'era George W. Bush.

L'IMPEGNO DI ROMA
Le operazioni dureranno trenta giorni, secondo un'informazione raccolta da Fox News. Ieri sono stati effettuati altri raid su Sirte, la città roccaforte dell'Isis in Libia, bombardata almeno tre volte (e quindi siamo a sette), dagli Harrier Usa (sono caccia a decollo verticale) partiti dalla nave d'assalto Uss Wasp. C'è una nave di scorta e anche un cacciatorpediniere americano, al largo delle coste libiche, in grado di lanciare missili. L'Italia riceve i ringraziamenti di Serraj per l'assistenza offerta sul piano umanitario e sanitario: Palazzo Chigi per ora se la cava così, lasciandosi alle spalle la disponibilità assicurata, fino a neanche tre mesi fa, di un impegno dei suoi militari come incursori. Per ora Roma non ha messo a disposizione neanche le basi militari nel suo territorio, ma lo farà (Aviano e Sigonella) se come è probabile venisse chiesto. Obama, intervenendo rapidamente e in solitudine, finora ha tolto dall'imbarazzo i suoi alleati.
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