Stupro di Rimini, Butungu nega tutto: «Stavo dormendo»

Lunedì 4 Settembre 2017
Stupro di Rimini, Butungu nega tutto: «Stavo dormendo»

Davanti al Pm della Procura di Rimini che lo ha interrogato ieri, il congolese 20enne Guerlin Butungu, ritenuto il capo del "branco" accusato dei due stupri di Miramare, si è detto estraneo alle violenze. «Dopo essere stato ad una festa in spiaggia, bevuto un drink e mezzo, mi sono addormentato», avrebbe riferito agli inquirenti.

 

«Quando mi sono svegliato - ha aggiunto - ho incontrato dei ragazzi che mi hanno offerto di acquistare un orologio e un telefonino probabilmente rubati, e così ho fatto», avrebbe aggiunto. Arrivato in Italia nel 2015 come richiedente asilo e in possesso di un permesso di soggiorno valido fino al 2018, Butungu si difende, dunque, negando i fatti.

Avrebbe però detto agli investigatori di riconoscersi nei fotogrammi estrapolati dalle telecamere di sicurezza che lo hanno ripreso con i tre minorenni, indagati in concorso con lui e come lui in stato di fermo. Anche per il maggiorenne sarà domani l'udienza di convalida.

La svolta nelle indagini sul branco autore degli stupri di Rimini giunge con una telefonata arrivata nella tarda mattinata di sabato scorso alla stazione dei Carabinieri di Montecchio di Vallefoglia (Pesaro). Un uomo chiede del comandante, il maresciallo Angiolo Giabbani. Il militare al centralino risponde che il comandante arriverà alle 14.30. A quell'ora, puntuali, si presentano alla stazione i due fratelli marocchini che confessano di aver partecipato agli stupri. A raccontare l'episodio all'Ansa è lo stesso maresciallo Giabbani.

Al telefono, la mattina di sabato, era il padre dei due minorenni. Soggetto ben noto ai carabinieri di Vallefoglia perchè si trova ai domiciliari e sono proprio i militari, spiega Giabbani, «a fare i controlli nelle diverse ore della giornata per verificare che l'uomo si trovi effettivamente nella sua abitazione. Io conosco lui e lui conosce me e quindi ha detto ai suoi figli di venire qui, parlare con noi e dire tutto, perchè si fidava».

Ma l'uomo al telefono non aveva chiarito i motivi della sua chiamata, «voleva soltanto accertarsi di quando ci sarei stato io. Appena hanno parlato - prosegue il comandante - l'ho subito chiamato per chiedergli se sapeva che i suoi figli si trovavano qui e lui mi ha detto di sì e che era stato proprio lui a mandarli». I due erano ben noti ai carabinieri per una serie di furtarelli, motorini, biciclette, cellulari, ma sempre reati contro il patrimonio, non violenze a persone.

«Questa volta l'abbiamo fatta grossa», hanno detto. Probabilmente, riflette Giabbani, «si sono consegnati perchè dopo la divulgazione delle immagini sapevano di avere le ore contate, avevano la consapevolezza che il cerchio si sarebbe stretto. La loro confessione ha poi fornito gli indizi per arrivare agli altri due membri del branco: non hanno fatto nomi e cognomi, anche perchè spesso i ragazzi si conoscono con dei soprannomi, ma hanno dato gli elementi utili a catturare anche i complici».

Un successo investigativo, nota il comandante, «che dimostra l'importanza della presenza capillare delle stazioni dei carabinieri anche nei piccoli paesi dove noi conosciamo le persone e riusciamo a stabilire rapporti che poi possono tornare utili».

Ultimo aggiornamento: 17:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA