Alessio Figalli re della matematica: «Non sono un cervello in fuga, torno spesso dai miei amici»

Giovedì 2 Agosto 2018 di Valentina Arcovio
Alessio Figalli
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È un momento eccezionale che ricorderò per tutta la mia vita». E’ visibilmente emozionato Alessio Figalli. Il matematico è nato a Roma il 2 aprile 1984, da Giuseppina Carola, insegnante di lettere classiche presso il liceo classico Vivona, all’EUR e da Gennaro, di origini e di formazione napoletane, che è professore ordinario del Dipartimento di Ingegneria all’Università di Cassino. Figalli ha lasciato la capitale poco più che maggiorenne, ma qui ha ancora tanti amici. Con loro avrà probabilmente modo di festeggiare dopo l’estate, quando rientrerà in Italia per un seminario che terrà all’Università La Sapienza.

Professore dica la verità, sapeva già da tempo che avrebbe vinto la Fields Medal. Come ha fatto a mantenere il segreto? 
«Lo sapevo da circa 5 mesi ed è stata davvero dura non dirlo a nessuno. In realtà, facevo fatica a crederci».

Quando ha cominciato a pensare di fare il matematico?
«Abbastanza tardi. Quando ho finito il liceo classico Vivona, a Roma, ero ancora indeciso tra matematica, fisica e ingegneria. Alla fine è stato un po’ un caso, molto legato all’ingresso nella Scuola Normale di Pisa. Mi sono detto “ah, però, fico!”. Insomma, la matematica mi divertiva, ma non sapevo se avrei potuto farne un lavoro. Avevo conosciuto le Olimpiadi della Matematica gli ultimi due anni di Liceo, insomma abbastanza tardi. E facendo le Olimpiadi mi divertivo».

Era un secchione a scuola?
«Macché. Mia madre mi criticava perché studiavo poco. Spesso lo facevo sull’autobus. E’ vero però che a tre anni ho messo insieme un puzzle di 100 pezzi e più tardi ne ho risolto uno montando i pezzi al contrario, senza l’aiuto della foto».

E la matematica?
«Era uno sfizio, mi ci mettevo ogni tanto la domenica pomeriggio, ma mi ci dedicavo non più di due ore a settimana. Per il resto me ne andavo in palestra o uscivo. Inoltre facevo il Classico e il programma era abbastanza facile. Dalla Normale di Pisa la mia strada sembrava più chiara».

Dopo il liceo ha sempre girato il mondo?
«Sono entrato alla Scuola Normale nel settembre 2002 e ho ottenuto la laurea triennale in matematica nel novembre 2004. Durante gli studi per la laurea specialistica seguii un corso di un professore dell’Ecole Normale Supérieure de Lyon (Albert Fathi), il quale mi invitò a spendere un semestre a Lione. Col supporto di Luigi Ambrosio, il mio relatore alla Normale, passai 6 mesi a Lione e nel 2006 cominciai un dottorato in cotutela tra Pisa e Lione. Questo fu l’inizio della mia carriera francese: nell’ottobre 2007 ottenni un posto da ricercatore al CNRS, il CNR italiano, e nel 2008 mi trasferii all’Ecole Polytechnique di Parigi. Quando ormai mi vedevo ben inserito nella vita francese, durante una delle visite negli Stati Uniti ebbi occasione di visitare l’Università del Texas a Austin. In quell’occasione mi offrirono una posizione come professore associato».

E lei accettò? Le piacciono gli Usa?
«L’idea di viverci almeno qualche anno mi sembrò interessante. Sono rimasto ad Austin fino al 2016, quando ho deciso di rientrare in Europa con una cattedra al Politecnico di Zurigo. Mi sento cittadino del mondo».
Viaggiando così tanto riesce a mantenere qualche amicizia? «Sono sempre stato in contatto con le persone che ho incontrato. Più che difficoltà a fare amicizie, per me è un po’ triste quando me ne vado, che mi tocca sempre ricominciare da capo. La parte negativa è più nel non poter contare su rapporti stabili. A Roma però ci sono sempre i miei amici del tempo del liceo e li vedo sempre quando torno per le vacanze».

Cosa le piace della matematica?
«Ho avuto la fortuna di scoprire cosa sia veramente la matematica. Infatti la visione che spesso ne otteniamo durante il periodo scolastico è quella di una materia arida, fatta di regole fisse ed immutabili che sono state stabilite da centinaia di anni. Questo è assolutamente falso: la matematica è una disciplina in continua evoluzione ed il matematico è una persona creativa che cerca di trovare una soluzione a dei problemi spesso molto concreti».

Può fare qualche esempio? 
«Basti pensare che senza gli studi matematici degli ultimi 150 anni non avremmo gli mp3, i GPS, la televisione, la crittografia per i bancomat, i motori di ricerca come Google, le tac e le risonanze magnetiche, ecc. Tutto questo è frutto sia di studi di natura completamente teorica sviluppati più di 100 anni fa, sia di strumenti matematici sviluppati solo recentemente. La matematica è una scienza moderna in fervente attività ed è fondamentale che esistano sia matematici “puri” che matematici “applicati”: infatti la matematica pura ed applicata sono legate a filo doppio e il progresso dell’una si riflette sull’altra».

C’è qualcosa di italiano in questo premio?
«Sì. La mia formazione è italiana. E aver vinto la Medaglia Fields dimostra che il nostro Paese riesce a formare. Quindi credo che questo mio riconoscimento sia una bella soddisfazione anche per l’Italia. Ma non ho mai fatto concorsi nel nostro Paese dunque non mi considero un cervello in fuga».

 

Ultimo aggiornamento: 3 Agosto, 18:31 © RIPRODUZIONE RISERVATA