L’errore strategico/ Il macigno previdenza scaricato sui nostri figli

Venerdì 18 Gennaio 2019 di Paolo Balduzzi
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Chi lo sa se le coincidenze esistono davvero. Se lo saranno chiesto anche i membri del Governo quando, il giorno in cui il Consiglio dei Ministri si prepara ad approvare il decreto su reddito di cittadinanza e quota 100, l’Inps conferma al Paese che la spesa pensionistica sta tornando ad essere sotto controllo. 
I numeri parlano chiaro: le nuove pensioni erogate nel 2018 sono poco meno di 500 mila, quando nel 2017 erano oltre 600 mila. Un calo del 20%, dovuto all’ultimo aggiornamento dei requisiti di età e genere previsti dalla riforma Fornero. Per queste nuove pensioni, aumenta il valore medio, in tutte le sue componenti: 781 euro in media per quelle di invalidità, quasi 1200 euro in media per quelle di vecchiaia e infine oltre 2200 euro in media per quelle di anzianità; ma proprio grazie all’entrata e regime dei requisiti di pensionamento, la spesa complessiva rimane sotto controllo. Archiviata la lunga e necessaria fase degli otto decreti di salvaguardia per venire incontro alle giuste aspettative dei cosiddetti “esodati”, nonché quella degli opportuni aggiustamenti della riforma in tema di “lavoratori precoci” e “opzione donna”, sarebbe stato finalmente tempo di guardare al futuro del sistema pensionistico con più tranquillità e soprattutto con maggiore giustizia. 
Sì, perché il principale effetto della riforma pensionistica del 2011 non è semplicemente un calo della spesa o del numero dei pensionati. Il suo principale effetto è stato quello di dare una prospettiva previdenziale anche a chi, proprio in questi anni, si affacciava per la prima volta al mercato del lavoro e vedeva di fronte a sé prospettive tutt’altro che rosee sia dal punto di vista della continuità lavorativa (e quindi contributiva), sia dal punto di vista del livello salariale, sia infine dal punto di vista dell’età di pensionamento. A tutti piacerebbe poter promettere pensioni generose e durature: ma la verità è che non esiste alcun “pasto gratis” in economia e la longevità, tra i tanti benefici, comporta anche dei costi. L’età media al pensionamento rimane poco sopra ai 60 anni, a fronte di un’aspettativa di vita ormai di gran lunga superiore agli 80 sia per gli uomini che per le donne. Un sistema troppo generoso, che permette periodi di pensionamento più che ventennali, se non addirittura e scandalosamente più lunghi, può essere sostenuto solo a fronte di una decisa contrazione di assegni - e durata degli stessi - per le generazioni future. Questo grande imbroglio della politica previdenziale, che risale agli anni ’80 del secolo scorso e che si è perpetrato sino a influenzare la riforma Dini del 1995, sembra essere stato dimenticato tanto dagli elettori, che si illudono di poter ripristinare i fasti di un sistema pensionistico insostenibile, tanto da alcuni politici. È il caso del Governo gialloverde, che nella serata di ieri ha approvato con quota 100 un deciso passo indietro rispetto ai progressi di questi anni. Un passo indietro che, come illustrato, grava principalmente sulle prospettive dei giovani ma anche sulle tasche delle generazioni correnti. Le risorse per far quadrare i conti, soprattutto a partire dal 2019, dovranno essere ingenti: una decina di miliardi per pensioni e reddito di cittadinanza, una ventina per le clausole sull’Iva (tabù che speriamo possa saltare quanto prima a favore di investimenti per la crescita). Un conto salatissimo che, salvo miracoli sul fronte della revisione della spesa, sarà coperto da altre nuove imposte. Traduzione: nuove e più alte tasse per finanziare la spesa di Reddito e pensioni. 
A fronte di quali vantaggi? Certo, il reddito di cittadinanza permetterà alle famiglie più povere un’esistenza più dignitosa. E questa è sicuramente una buona notizia, sempre sperando che i soldi vadano nelle tasche giuste e non dei soliti evasori fiscali (i dati più recenti della Guardia di finanza rilevano di un drammatico 60% di finti poveri). Ma visto che tale reddito sarà finalizzato al solo consumo, l’effetto moltiplicatore sul prodotto nazionale sarà nullo o molto contenuto. E quota 100? Permettere ad alcuni lavoratori di anticipare la propria pensione porterà alla situazione paradossale di avere maggiore spesa pensionistica da un lato e un minore potere d’acquisto dei pensionati stessi dall’altro. Una prospettiva a dir poco deprimente, verrebbe da pensare. Eppure, al totem dell’ennesima improvvida promessa elettorale, dovremo ancora una volta rassegnarci a sacrificare una crescita economica più sostenuta e il futuro delle generazioni più giovani.
Ultimo aggiornamento: 21:39 © RIPRODUZIONE RISERVATA