Rischio manovra bis da 9 miliardi: ma Lega e M5S fanno muro

Giovedì 7 Febbraio 2019 di Marco Conti
Rischio manovra bis da 9 miliardi: ma Lega e M5S fanno muro

«Poiché ci fanno ancora credito, dopotutto non va male». Forse un po' sintetica ma è questa la reazione del governo alle stime di crescita del Fmi (+0,6%) e a quelle che oggi darà Bruxelles (+0,2). La soddisfazione di Matteo Salvini per l'esito dell'asta sui Btp trentennali e il principio, ribadito dal ministro dell'Economia Giovanni Tria, del «debito che è sostenibile», servono per evitare allarmismi, ma le reazioni non entrano nel merito delle misure contenute nella legge di Bilancio e che, a giudizio del Fmi, sono causa del drastico peggioramento delle stime.

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L'EFFETTO
Rimettere mano ora ai conti pubblici viene smentito dal Mef e da Palazzo Chigi perché escluso dai due vicepremier di Maio e Salvini. Reddito e Quota 100 continuano ad essere ritenute dai due «decisive» per il rilancio della crescita, ma per il Fondo monetario, come per Bruxelles, non produrranno l'effetto sperato. «Valutazioni politiche» che Di Maio e Salvini respingono. I due vice blindano le due misure e puntano, anche grazie a loro, a fare il pieno di consensi alle elezioni europee di maggio. Ma a Via XX Settembre la preoccupazione è forte così come viene ritenuto alto il rischio essere chiamati a breve ad una riscrittura dei conti destinata a riaccendere un nuovo scontro con Bruxelles. A dicembre, e dopo una travagliatissima trattativa, la Commissione aveva dato il via libera alla legge di Bilancio mettendo però sub judice il tutto e, soprattutto, le due misure bandiera per le quali il governo ha ampliato le clausole di salvaguardia portandole a 23 miliardi. Il taglio delle previsioni di crescita allo 0,2%, rispetto all'1,5% pronosticato dal governo, rischia ora di certificare un buco da 8-9 miliardi e l'esigenza di una manovra correttiva a breve che però non può non coinvolgere Reddito e Quota 100.

Malgrado le preoccupazioni del premier Conte e del ministro Tria, i due vicepremier non intendono rimettere in discussione la manovra e sono pronti ad attaccare nuovamente «i burocrati» della Commissione di Bruxelles, tralasciando il particolare non da poco che si tratta di persone elette nei rispettivi paesi e non di semplici funzionari. Lo scontro con la Commissione serve a nascondere che il taglio delle stime sulle prospettive di crescita dell'Italia non è stato fatto solo da Bruxelles ma anche dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio, oltre che dall'Ocse e dall'Fmi. Salvini e Di Maio non intendono però mollare sostenendo che dopo maggio a Bruxelles «tutto cambierà». Il problema per Conte e Tria è come arrivarci.

Senza contare che lo slogan può anche funzionare, ma rischia di tramutarsi in illusione visto che secondo i sondaggi di Eurobarometro per ora è da escludersi la vittoria dell'ala sovranista e anti-europea. Il rischio di un'Italia isolata non sfugge a Sergio Mattarella e a quella parte di governo che già guarda con una crescente dose di perplessità le tensioni in corso tra l'Italia, Bruxelles e buona parte dei Paesi una volta considerati amici da tutti i passati governi. Francia in testa. A parte il pacchetto di investimenti che Palazzo Chigi ha rispolverato qualche giorno fa, non ci sono tracce di quella «inversione di marcia», chiesta dalle opposizioni. Il drastico taglio delle stime conferma la volontà della Commissione Ue di non concedere sconti malgrado la campagna elettorale. Anzi, l'Italia rischia di diventare in molti Paesi l'esempio «da non seguire» che molti partiti useranno per scongiurare derive sovraniste e populiste. Senza contare che persa la sponda di Francia e Germania, sembra difficile che toni morbidi e a noi favorevoli possano arrivare dai paesi dell'est Europa o dai partiti sovranisti. Come per esempio dal partito di ultradestra tedesco Afd, amico della Lega, ma che ha già definito «folle la manovra italiana», soprattutto «fatta a spese della Germania». Il problema è che il calo del Pil fa saltare il tetto del 2,04%, porta in alto il deficit e innervosisce i mercati obbligando il Tesoro ad alzare i rendimenti delle nuove emissioni di debito pubblico. Una spirale perversa che i due vice provano a nascondere sotto la sabbia, ma tre mesi e mezzo sono lunghi da reggere con questi numeri e incrociare le dita potrebbe non bastare.
 

Ultimo aggiornamento: 12:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA