Meloni e Marine Le Pen, dal c’eravamo tanto odiate a (forse) alleate nella Ue

L’onore delle armi a Von der Leyen: «La colpa è della sua maggioranza»

Martedì 21 Maggio 2024 di Francesco Bechis
Il presidente del consiglio Giorgia Meloni intervistata da Maurizio Belpietro durante l’evento “Il giorno de La Verità” a Milano, 14 maggio 2024. ANSA/MOURAD BALTI TOUATI

Una tregua imposta dal pragmatismo elettorale.

Giorgia Meloni e Marine Le Pen, le donne forti della destra europea, non giocano nella stessa squadra. Ma devono dire o almeno far percepire il contrario, a tre settimane dal voto che cambierà l’Europa. Una sfida proporzionale che spinge anche gli alleati, veri o presunti, a sottrarsi e contendersi le preferenze per Bruxelles. E pensare che i segnali di un riavvicinamento, dopo mesi di stoccate e frecciatine a distanza tra Giorgia e Marine, non mancherebbero.

Per un soffio hanno mancato la photo opportunity, insieme sul palco di Vox a Madrid. La leader della destra francese in persona, la premier italiana collegata a distanza, per restare comoda nella doppia veste che le impone Palazzo Chigi: capo di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei e insieme presidente del Consiglio costretta a parlare e intendersi con i grandi nemici delle destre Ue, da Biden a Macron, da von der Leyen a Michel. «Con lei ho molti punti in comune», l’ha accarezzata a distanza Le Pen. Ricambiata dalla timoniera del governo italiano.

IL CAMBIO DI FASE

All’indomani del comizio in spagnolo, versione yo soy Giorgia, Meloni torna a promettere un centrodestra compatto nella stanza dei bottoni in Europa. Senza socialisti, macroniani e liberali in mezzo, addio larghe intese e Ursula bis. «Voglio provare, cosa non facile ma affascinante, a rifare in Europa quello che abbiamo fatto in Italia», spiega Meloni a Mattino Cinque. Convinta che anche a Bruxelles dopo il 9 giugno si possano «alleare partiti compatibili tra loro in termini di divisioni pur con sfumature diverse, come ci sono in Italia, e mandare all’opposizione la sinistra».

Pensiero stupendo, cantava Patty Pravo. E anche un tantino ambizioso, per chi oggi sfoglia i sondaggi della vigilia. Che danno in salita, ripidissima, l’ipotesi di una maggioranza interamente di centrodestra - Conservatori, popolari e sovranisti - e ben più in discesa una coalizione di larghe intese che replichi con i dovuti accorgimenti la maggioranza Ursula di cinque anni fa. A complicare le cose ci si mettono i veti incrociati, che fioccano soprattutto a destra dell’emiciclo di Strasburgo. Ecco Antonio Tajani, l’indomani dell’adunata spagnola di Vox, pronunciare un nuovo anatema contro i sovranisti di Le Pen, Salvini e i tedeschi di Afd: «Il dialogo con Identità e democrazia? Impossibile».

Mentre il segretario della Lega accoglie con un timido applauso l’apparente feeling ritrovato tra Meloni e Le Pen: «Chi stima Marine è una persona intelligente». Da qui a una foto di famiglia allegra e sorridente del centrodestra alle prese con le urne europee, ce ne passa. Ma il tatticismo elettorale, questo sì, prende il sopravvento nei discorsi dei leader. Meloni non fa eccezione.

Per mesi la premier si è tenuta in equilibrio, non ha smentito i retroscena di una tessitura con il Partito popolare europeo per un sostegno, anche solo esterno, a una Commissione europea nata dal calco di quella di cinque anni fa. Ora invece no. Già a Pescara, dal palco dove ha lanciato la sua candidatura - “scrivete Giorgia” - la leader di Fratelli d’Italia ha lanciato un patto anti- “inciucio” calando il sipario su una possibile intesa con i socialisti: «Mai con la sinistra». E se all’indomani del comizio di Vox, dove invece l’ha messa nel mirino bocciando in toto l’operato della Commissione, Meloni concede l’onore delle armi alla (ex?) alleata Ursula, «la colpa è della maggioranza che la sosteneva», il cambio fase è ormai evidente.

Dice la premier: «Noi ci stiamo lì a impiccare sul tema del nome del presidente della Commissione, ma la verità è che la vera sfida che noi dobbiamo costruire è una maggioranza diversa da quella che abbiamo visto negli ultimi cinque anni, che è un'innaturale maggioranza tra il Ppe, i socialisti e il partito liberale». Il disgelo apparente con Madame Marine serve da avallo. Sembrano lontani, ora, i colpi bassi sferrati a vicenda tra le timoniere della destra Ue. Meloni che apre le porte dei Conservatori europei a Eric Zemmour, rivale di Marine, insieme a Marion Marechal, la nipote e arci-rivale della più nota zia. E dall’altra, Le Pen che invia un video al summit sovranista della Lega di marzo e cannoneggia la premier italiana e i suoi ambigui rapporti politici con von der Leyen. E che dire del tiro alla fune per aprire le porte dei rispettivi gruppi all’ungherese Viktor Orban, ormai diretto fra le braccia dei Conservatori?

PROVE DI TREGUA

In verità i dissapori e le distanze restano. È la campagna elettorale, semmai, che costringe a parlare la stessa lingua, rimettere nell’armadio la veste istituzionale di cui anche Le Pen ha un disperato bisogno, a tre anni dalle presidenziali francesi che potrebbero darle per la prima volta una chance per l’Eliseo. E dunque eccole, Giorgia e Marine, intendersi e studiarsi di nuovo, in queste ultime settimane di corrida elettorale.

Meloni a Mediaset reindossa l’elmetto contro un’Ue grazie a cui «sappiamo come cucinare gli insetti ma non abbiamo una politica estera, di difesa, di controllo delle nostre catene di approvvigionamento». Poi è il turno dei migranti: «Mi spiace moltissimo per gli attacchi scomposti che il primo ministro Rama sta avendo dalla sinistra italiana ed europea per aver fatto questo accordo per aiutare l'Italia». Riecco il vocabolario sovranista, d’attacco, la premier Meloni cedere il passo alla capo-partito Giorgia che a Bruxelles promette di guardare a destra e a destra soltanto. Magari insieme all’ex nemica Marine. Il tempo dirà, dopo il 9 giugno.

Ultimo aggiornamento: 09:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA