Francesco Nuti morto, Giovanni Veronesi: «È stato dimenticato troppo presto, il destino infausto di tutti i comici»

Il ricordo del regista e amico decennale: "Era il più generoso che abbia mai conosciuto"

Martedì 13 Giugno 2023 di Valeria Arnaldi
Francesco Nuti morto, Giovanni Veronesi: «È stato dimenticato troppo presto, il destino infausto di tutti i comici»

«Quando stava male, nell'ultimo periodo alcuni dicevano che per lui sarebbe stato meglio morire, ma io egoisticamente speravo che non accadesse. Ora lui ha smesso di soffrire e ho iniziato io». Così Giovanni Veronesi, suo amico da decenni, commenta commosso la morte di Francesco Nuti.
Quando lo ha visto l'ultima volta?
«Andavo a trovarlo spesso, poi con il Covid è diventato più difficile. Non lo vedevo da qualche mese purtroppo, ma sapevo tutto dalla figlia Ginevra. Quando era in coma, gli parlavo. Al risveglio, ha fatto capire che ci sentiva ma il coma è uno stato particolare, sembrava che una forza lo tenesse lì».
Come ha saputo della morte?
«Mi ha telefonato il fratello, è medico, non chiama mai di giorno. Quando ho sentito il telefonino e ho visto il numero, ho avuto una fitta al cuore, ho capito subito».
Quando lo ha conosciuto?
«A 17 anni, una sera, ero a Castiglion della Pescaia per uno spettacolo dei Giancattivi, lui stava fumando fuori dal locale. Lo riconobbi subito e dissi ad alta voce: "Madonna, quanto costa questo spettacolo". E lui: "Aspetta te lo pago io". Non ci siamo più lasciati».
L'ha introdotta al cinema.
«Mi ha spianato la strada.

Auguro a chiunque di incontrare una persona come lui, è più importante della fortuna. Io giocavo nelle retrovie e Francesco mi ha portato subito in nazionale. Tutta colpa del paradiso è stato il primo film della mia vita».

 


Nuti è stato dimenticato troppo presto?
«È il destino di tutti i comici. Per una settimana ora qualcuno trasmetterà i suoi film e poi sarà scordato di nuovo. È una sorte infausta: chi fa ridere non può far piangere».
Aveva molti talenti, è stato anche cantante.
«Era curioso, voleva essere attore, regista, cantante, scrittore, amava mettere il naso anche dove magari non doveva. Quando si lavora a un film si fa introspezione e si conoscono aspetti e malesseri che non si sapeva di avere. Forse, è stato per quella curiosità che ha scavato troppo dentro di sé, fino a trovare il suo lato oscuro».
Cosa ha pensato quando lo ha visto perdersi?
«L'alcol non ti lascia, anche se fai di tutto per abbandonarlo. Francesco ha provato tanto, noi eravamo al suo fianco, ma non ci è riuscito».
Com'era come uomo?
«Il più generoso che abbia conosciuto, non era uno che coltivava il suo orticello, dava tanto senza vergogna».
Gli ha fatto una serenata sotto l'ospedale con "Puppe a Pera".

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«Sì, all'epoca pensavo che fosse immortale, oggi quelle cose mi sembrano senza senso».
Cosa vorrebbe fosse fatto per ricordarlo?
«Penso che il problema sia culturale. Faccio provini a diciottenni che vogliono fare l'attore o il regista e non lo conoscono. Come è possibile? Ma in Italia la cultura ormai conta poco».
E lei lo celebrerà in qualche modo?
«Non farò nulla di pubblico, l'ho celebrato nella mia vita e lo farò fino alla fine. Forse faranno un docufilm o una fiction, non so, di certo non voglio entrarci, io l'ho vissuto davvero».
 

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