«Vado dritto al cuore dei re»

Lunedì 22 Gennaio 2018
«Vado dritto al cuore dei re»
IL PERSONAGGIO
Conosce il cuore degli emiri. E anche quello dei sovrani. Ha lavorato molti anni a Londra nel Royal Brompton Hospital, quello che ha come pazienti i regnanti d'Inghilterra. È uno dei cardiochirurghi italiani più noti a livello internazionale per la sua ricchissima attività scientifica. Conosciuto per il suo metodo di sostituire valvole aortiche e mitraliche in modo non invasivo. Duecento interventi ogni anno.
Nato a Mestre, 62 anni, Carlo Di Mario è rientrato in Italia, per chiamata diretta del rettore, come ordinario all'Università di Firenze e come primario a Careggi, presentato come l'uomo al quale consegnare il futuro della cardiologia. Notissimo negli Emirati, in Arabia Saudita, in Kuwait. Sposato con una pediatra mestrina, due figli che non hanno seguito le orme paterne.
Professor Di Mario anche lei è stato un cervello in fuga?
«Se intende un professionista italiano che abbia cercato il suo spazio e la sua fortuna all'estero, certo. Sono andato in Olanda per 7 anni poco dopo la specialità e sono rimasto per 15 anni a Londra da dove sono rientrato lo scorso anno per diventare professore ordinario di Cardiologia all'Università di Firenze. Quando sono partito ero già aiuto ospedaliero, forse il più giovane in Italia. Non è stato per trovare lavoro che sono andato all'estero, anzi ho messo a rischio il posto sicuro perchè volevo fare qualcosa di nuovo. Per l'Università il discorso è diverso: non potevo permettermi di fare il precario a vita. In Olanda ero il giovane di belle speranze che andava ad imparare e a Londra avevo abbastanza pubblicazioni ed esperienza da essere nominato professore all'Imperial College sei mesi dopo il mio arrivo. In Olanda il sistema è un po' come il nostro, si aspetta che il paziente arrivi dal Pronto Soccorso o dai medici di base. In Inghilterra, e specie in una città competitiva come Londra, bisogna dimostrare di valere».
Quali differenze ha notato col resto d'Europa?
«Forse la differenza più ovvia è che raggiunto un livello di carriera da Consultant, noi li chiamiamo strutturati o dirigenti medici, si svolgono le varie funzioni in modo più o meno indipendente. Qui si vedono ancora chirurghi cinquantenni che fanno gavetta per entrare in sala operatoria. C'è molta più gerarchia che nel Nord Europa o in America. In Italia un reparto d'eccellenza è una creatura fragile e difficile da costruire, ci vuole una chimica particolare che richiede tempo e decisioni sagge nella scelta dei collaboratori. È un po' come una squadra di calcio: inutile prendere due o tre punte straordinarie che non dialogano tra loro, quando manca chi manda avanti la palla e chi difende la porta. Impossibile fare una selezione così attenta in ospedali pubblici che lavorano sull'emergenza bloccando le assunzioni finchè non hanno l'acqua alla gola. Per semplificare le cose ora si fanno concorsi regionali con centinaia di candidati, ma è difficile fare selezioni logiche e un bilanciamento generazionale. Ho senz'altro notato progressi nel livello tecnico e nella qualità dei macchinari, sale operatorie e sale di degenza. Si cade un po' sulla rigidità di utilizzo del personale, sulla difficoltà di approvvigionamento di materiali innovativi, su decisioni più politiche che tecniche».
Perché ha impiegato tanto a rientrare?
«Londra è una città straordinaria, cosmopolita, la vera capitale d'Europa - se non avesse deciso di uscirne -, aperta anche al resto del mondo, con una straordinaria capacità di attrazione dei migliori talenti in tutti i campi, dai finanzieri ai cuochi, dagli allenatori di calcio ai medici. Non credo perderà molto del suo fascino anche dopo la stupida scelta della Brexit che le è stata imposta da province riottose ed arretrate. Dopo averci messo tempo e fatica ad inserirsi bene, non avrei lasciato se non per un'alternativa altrettanto valida in Italia. È arrivata quando avevo quasi pensato di rinunciare e chiudere la carriera in Inghilterra, ma è arrivata».
Lei è nato e cresciuto a Mestre in anni di grande trasformazione della città
Mestre è un facile bersaglio su cui sparare, si è sentito dire di tutto: città senz'anima e senza storia, dormitorio di Venezia Dopo aver vissuto in molte altre città del Veneto e d'Italia, confesso che almeno negli anni 60 e 70 Mestre aveva la caratteristica di essere una città molto aperta, formata da persone arrivate e trasferite da poco, molto più pronte ad integrarsi che in altri centri più provinciali e chiusi del Veneto. Un po' come Milano o come Londra, dove metà dei londinesi non sono nati a Londra. E poi adesso con un po' di arredo urbano, piazze pedonali e fiumi riaperti Mestre è diventata quasi bella!».
E' stata importante la formazione nel liceo Franchetti?
«Ci sono entrato poco dopo il 68. Non eravamo piu' i matti ribelli che credevano di poter cambiare il mondo con la rivoluzione, ma l'idealismo abbondava ancora. Si votava per la prima volta a 18 anni e noi ci andavamo tutti, magari facendoci imbrogliare da chi prometteva la luna nel pozzo, ma credendo che alla lunga si potessero cambiare le cose. Meglio di tanta disillusione e disimpegno che vogliono anche dire 50% di astensionismo tra i giovanissimi. Mi sono un po' stupito quando mio figlio più grande ha deciso di fare il professore di liceo».
I compagni di classe ricordano che lei prendeva solo 10 e che una volta ha contestato un 9 nel compito di greco: un po' esagerato anche per un primo della classe?
Non ricordo il particolare, ma ricordo bene di aver rifiutato un 27 a Farmacologia perchè il dettaglio che mi avevano chiesto riguardo agli anticoncezionali non c'era sul libro di testo che consigliavano. Prendere tutti trenta e trenta e lode non si può nemmeno mettere in curriculum, ma rimane una soddisfazione personale grande».
Le malattie del cuore: quando uno deve allarmarsi?
Anche a 20 anni dobbiamo capire che se i nostri genitori hanno la pressione alta o prendono pillole per il colesterolo o il diabete anche noi, che condividiamo gli stessi geni, abbiamo probabilità più alte di ammalarci. Una volta si faceva almeno la visita militare. Adesso se non si è iscritti ad un club sportivo un soffio o una anomalia elettrocardiografica possono passare inosservati per decenni. Qualche esame del sangue e misurazione di pressione non fanno male neanche a trent'anni. Una vita sana e attiva senza fumo di sigaretta è già un buon viatico per battere gli 87 anni della vita media».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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