Un tramezzino da battaglia

Domenica 15 Luglio 2018
Un tramezzino da battaglia
LA STORIA
Veneziano o torinese che sia, la «prima volta» del tramezzino dovrebbe essere nel 1936. Dalle brume del passato, grazie all'abilità d'indagine di Samanta Cornaviera, originaria di Ponte nelle Alpi, archeologa delle ricette e blogger (www.massaiemoderne.com), emerge una pagina della Cucina italiana del 1° luglio 1936, intitolata «L'arte di preparare i tramezzini». Questa prima citazione scalza dal gradino più alto del podio quella, di pochi mesi successiva Corriere della sera del dicembre 1936 dove nell'elenco delle prelibatezze servite nei bar a bordo piscina dei transatlantici Principessa Maria e Principessa Giovanna è compreso anche «qualche gustoso tramezzino che integri la serie dei sani tuffi».
L'ETIMOLOGIA
L'origine della parola, invece è meno chiara. La tradizione vuole che sia stata inventata da Gabriele D'Annunzio, per tradurre l'inglese sandwich che in epoca di autarchia (proprio quelli sono gli anni) risultava politicamente scorretta. In effetti, è sempre Samanta Cornaviera a segnalarlo, si utilizzavano i termini «sanduiccio» o «panino gravido». Anche la Cucina italiana sposa la linea autarchica e neanche nomina la parola straniera incriminata. «Viene indicato - scrive -, come ognun sa, con un nome inglese, un bocconcino appetitoso composto da due fettine sottili di pane che spalmate di burro racchiudono commestibili vari. I tramezzini, recentemente, hanno preso una gran parte sui piatti che guarniscono un tavolo da tè o da merenda».
LO ZAMPINO DEL VATE
La presunta paternità dannunziana viene tuttavia messa in dubbio dalla massima autorità sul Vate, ovvero Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli italiani. «In effetti sembra che D'Annunzio, non molto prima della morte, abbia coniato il nome, che originariamente era sandwich, forse per rispondere a quell'istanza fascista che chiedeva l'eliminazione dei nomi inglesi in favore di parole italiane. Purtroppo però non abbiamo nessun documento che attesti questo fatto; si tratta di una tradizione sempre rimbalzata» afferma Guerri. Non ci sono prove, quindi che sia stato proprio Gabriele D'Annunzio a coniare la parola che non compare mai nei suoi scritti. D'altra parte era molto in uso il termine «tramesso» o «tramezzo», dal francese «entremets», ovvero piatti che si servivano tra una portata e l'altra. Un tramezzo piccolo, magari fatto col pane in cassetta, come precisa la Cucina italiana, diventa quindi un tramezzino.
LA RIVENDICAZIONE TORINESE
Altro punto dibattuto è dove il tramezzino sia nato. Il torinese caffè Mulassano, affacciato sulla centralissima piazza Castello, ne rivendica la paternità. All'interno ha una lapide che recita: «Nel 1926, la signora Angela Demichelis Nebiolo, inventò il tramezzino». Nel sito c'è scritto: «I coniugi Nebiolo, di ritorno dagli Stati Uniti, per ringiovanire il locale inventarono, dapprima in accompagnamento all'aperitivo poi come pranzo veloce, questo spuntino che Gabriele D'annunzio chiamo, alcuni anni dopo, tramezzino». Su questo secondo punto Giordano Bruno Guerri fuga ogni dubbio: «Escludo comunque che D'Annunzio abbia inventato il nome sedendo proprio ai tavolini del caffè Mulassano, non essendo mai andato a Torino in quegli anni».
Il tramezzino torinese appare un mangiarino di origine sociale alta, visto che i più richiesti al caffè Mulassano sono all'aragosta o al tartufo, con il complemento di quello locale alla bagna cauda (si dovrebbe dire «identitario» per usare una parola al passo con i tempi).
CIPRIANI E ROSA SALVA
A Venezia i tramezzini prosciutto e funghi o uova e tonno appaiono decisamente più popolari. La Cucina italiana ce lo mostra piccolo borghese: «Se una padrona di casa si limita a servire ai suoi ospiti volgari tramezzini al prosciutto, al burro d'acciughe o al fegato d'oca, non sarà certo giudicata originale» e suggerisce una serie di aromatizzazioni per il burro in modo da rendere gustosi i tramezzini e di conseguenza originale la padrona di casa: burro di sardine, crescione, gamberetti, noci, mandorle, nocciola, senape.
Il padre dei tramezzini veneziani è stato senz'altro Giuseppe Cipriani. Il fondatore dell'Harry's bar dal 1946 ha cominciato a preparare quelli che chiamava «sadwichini»: tramezzini quadrati all'insalata di pollo, uova e acciughe o gamberetti, per accompagnare gli aperitivi. Il sandwichino all'insalata di pollo ha pure avuto un curioso effetto collaterale: siccome avanzava una quantità di brodo, Cipriani ha messo a punto il risotto primavera per poterlo consumare. L'Harry's Bar ha fatto scuola e il tramezzino si è diffuso per Venezia. Il luogo con la maggiore varietà è stato a lungo il bar Torino, in campo San Luca, dove di quei ricchi banconi ormai è rimasto solo il ricordo, mentre a Mestre rimane ancora incontrastato il primato del bar Perla, in via Mestrina. Oggi la palma va a Rosa Salva, presente sia a Venezia sia a Mestre, e il suo panettone di tramezzini è una delizia che va assaggiata almeno una volta nella vita. Il tramezzino vanta anche una scuola romana, che lo vorrebbe nato in via Panisperna, ovvero pane e prosciutto in latino. Comunque a Roma i tramezzino sono in spesso a due piani, vanno forte quelli con salame e melanzane grigliate.
LE SCOASSE DEL MERCÁ
C'è stato un tempo, però, in cui il tramezzino aveva un re: Elio Piccin, che gestiva il baretto d'angolo in campo delle Beccarie, a Rialto (il bar esiste ancora, vi si preparano ancora i tramezzini) ma lui si sta godendo la meritata pensione dopo aver gestito il locale per trent'anni, dal 1975 al 2005. Il soprannome, il Re del Tramezzino, gliel'aveva dato Margherita Minguzzi, moglie dello scultore Luciano, che apprezzava le oltre 25 varietà di tramezzini preparate da re Elio. «Facevo prodotti che non esistevano, con gusti diversi, strani» ricorda oggi Elio. Il suo cavallo di battaglia era il tramezzino «scoasse del mercà», a base di gamberetti, porchetta, radicchio rosso e rucola che rappresentavano gli avanzi dei banchi di pesce, di verdura e dei macellai il tutto pestato e amalgamato con la maionese. «Ma poca», osserva Elio, «oggi i tramezzini sono pieni di maionese e hanno troppa poca ciccia, sia carne o pesce». Apprezzatissimo era anche il «magnar de na volta», con durelli di pollo bollito, peperoni rossi e gialli grigliati, fondelli di carciofo; il «bocon del prete», con tacchino al forno, insalatina e misto bosco (chiodini, porcini, finferli) faceva il paio con il «magnar del papa», con tartufo, funghi, formaggio molle e insalatina.
Elio aveva messo a punto oltre 150 tipi di tramezzini, sempre con nomi originali e in veneziano, e ogni giorno ne preparava 25 tipi diversi e ne vendeva 600 pezzi. Una vera e propria potenza del tramezzino.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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