Stucky, abbracci e prosecco «Il mio elogio al Nordest»

Lunedì 19 Marzo 2018
L'INTERVISTA
«Sto scrivendo l'ultimo libro che ha per protagonista l'ispettore Stucky. È ambientato tra Treviso, Mogliano e Marghera. Le anticipo il titolo: C'era il mare, el mar ghe gera Mi ero sempre immaginato l'ispettore come uno magro, ma dopo il film ha assunto la fisionomia di Battiston, sono condizionato dalla sua figura. Ho deciso di far uscire di scena Stucky, ma non dovrà morire, si troverà una morosa e vivrà felicemente».
Fulvio Ervas, 63 anni, nato a Musile di Piave, vive a Istrana, insegna scienze naturali in un liceo di Mestre. Un suo libro Finché c'è prosecco c'è speranza è diventato un film di successo, i gialli con l'ispettore Stucky saranno a breve una serie tv. Dal suo libro più fortunato, che racconta una storia di disabilità, il premio Oscar Gabriele Salvatores sta preparando un nuovo film.
Chi è (o chi era) l'ispettore Stucky?
«È un trevigiano di padre veneziano e di madre persiana, un omaggio al mio migliore amico Mohsen, medico del lavoro, che mi ha insegnato la cortesia, la gentilezza. Per i persiani è uno strumento per capire le persone, usano la gentilezza come un tappeto che ti mettono davanti e vedono come ti muovi. Stucky è un osservatore, ho preso il cognome dai Mulini di Venezia, non ha un nome di battesimo. È pacioso, ironico, un po' solitario, abita nel bellissimo vicolo Dotti, nella Treviso vecchia, ha per vicine due zitelle tremende».
Davvero finché c'è prosecco c'è speranza?
«Ho trovato questo coraggioso regista, un giovane di Conegliano che era tornato dall'America e cercava un soggetto per un film. Pensavo scherzasse, invece Antonio Padovan ha fatto tutto da solo, ha trovato i finanziamenti, non c'erano aiuti della Regione o dei produttori di prosecco, ha girato il suo primo film in 35 giorni, cinque dei quali sotto la pioggia. Adesso il film è venduto in tutto il mondo, dall'Oceania alla Cina, il regista domani sarà a Tokyo. In Veneto è andato benissimo, incassi imbarazzanti, fosse stato così in tutta Italia avremmo fatto impallidire Guerre stellari. Hanno capito che era un bellissimo elogio al mondo veneto. Tutti ci dipingono come cretini, lo stereotipo del veneto è rimasto quello del carabiniere, del figlio della serva. Il film dà un'idea positiva, veneti che fanno i veneti, col nostro accento, da Battiston a Citran. La cosa bella è mostrare il territorio che c'è attorno. Anche se il film pone problemi, parte da un cementificio che inquina e da un protagonista che rispetta la natura: si può fare vino buono rispettando la terra. La monocoltura esige sempre un sano confronto tra avidità e lungimiranza. Se prevale l'avidità in trent'anni le colline saranno seccate. Se invece investono con attenzione si vincerà. Qualcosa si è mosso, c'è più prosecco biologico, non si buttano più i pesticidi dall'elicottero. C'è l'idea di farne patrimonio dell'Unesco, c'è un dibattito e la letteratura può aiutare».
Come è il Fulvio Ervas insegnante?
«Ogni giorno da più di trent'anni faccio la strada Istrana-Mestre e ritorno. Non ho mai chiesto il trasferimento perché mi piacciono i mestrini, sono vivaci dal punto di vista intellettuale. Ma ci metto un'ora e dieci minuti ogni mattina, il Terraglio è la morte del movimento, mi superano in bicicletta, fai prima a scendere dalla macchina e andare a piedi. Non posso nemmeno andare in pensione per colpa della Fornero. Ma faccio fatica a mollare la scuola, sei dentro la realtà. Ogni anno dico: mollo, mollo, mollo! Non lo faccio mai, nonostante tutto è un bel lavoro. Poteva andarmi peggio. La scuola è l'osservatorio dei cambiamenti più importanti, però, vedi anche quanto perdi nella capacità di comunicare nell'era di Internet. Tu sei lento, loro sono velocissimi e questa velocità rende vecchia la scuola e gran parte dei suoi programmi. La scuola ha bisogno di insegnanti giovani, dovrebbe essere un obbligo educativo: i docenti delle superiori non possono essere troppo vecchi. È una legge fisica, non comunicano più, perdono gli alunni. Voglio essere sostituito. Da noi anche i precari sono vecchi».
Sono così cambiati gli studenti?
«Difficile mantenere l'attenzione, sono abituati a vedere non ad ascoltare. Loro cambiano canale, gli basta fare zapping, quando vogliono spengono. Però non possono spegnere un docente con il telecomando. Leggono poco, scrivono così e così, usano cinque, sei verbi, sono convinti che un tema si esaurisca in due righe, massimo quattro. È una povertà preoccupante, mi rattrista che ci sia una sorta di analfabetismo di ritorno che viene spacciato per abilità. È come salire su una barca condotta da altri e pretendere di avere il diritto alla patente nautica per il solo fatto di essere presente. C'è presunzione e arroganza, la convinzione che Wikipedia sia tutto. Gli studenti informatici, poi, non si rendono conto che ognuno di loro è sempre osservato, controllato, additato; sono sempre nel mirino del giudizio, scandagliano l'intimità, lasciano un sacco di tracce».
Ha avuto un successo internazionale col libro Se ti abbraccio non aver paura, che racconta la vicenda drammatica di un padre e di un figlio affetto da disabilità
«È stato anche adottato nelle scuole per l'argomento che affronta. Con Franco e Andrea Antonello siamo diventati amici, ci vogliamo bene. Racconta la disabilità con speranza, un padre che ha affrontato il problema costruendo una Fondazione che funziona, I bambini delle fate. Non c'è rabbia. È il classico imprenditore del Nordest che fa quello che dice, aiuta le famiglie che hanno lo stesso problema: ad Ascoli Piceno ho incontrato una coppia che ha tre figli maschi tutti autistici. Davanti a queste storie ti rendi conto della fortuna di avere figli normali. Andrea è un ragazzo bellissimo, ma per 24 ore al giorno non si spegne mai, pieno di energia, oppure per 24 ore può restare fermo davanti a una tazzina».
Fulvio Ervas ha esordito come scrittore a 45 anni, ma prima scriveva?
«Ho sempre scritto, scrivere è un modo di affrontare temi che mi sono cari; ho scritto anche romanzi che non saranno mai pubblicati, ho scritto anche delle cose soltanto per me. Il prosecco mi ha fatto diventare uno scrittore del Nordest, quando un libro diventa film la gente ti riconosce. Sono stato l'unico della famiglia a studiare; mio padre era un operaio edile, lo pagavano quando capitava. La nostra era una dignitosa povertà, ma povertà. Tutto è cambiato quando è diventato metalmeccanico a Porto Marghera, lo stipendio fisso ci ha cambiato la vita. Fin da bambino ho sempre avuto storie in testa. Leggevo di tutto, specie i romanzi di Salgari, il mio scrittore preferito, me li passava il cappellano, don Mario. Sono cresciuto a Croce, una frazione di Musile di Piave, quando sono andato a scuola a San Donà mi sembrava di essere arrivato in una metropoli. La maestra, Maria Cancellieri, mi invitava a essere più conciso: Fulvio scrivi meno che poi devo correggere!. La maestra Maria era una di quelle figure sulle quali devi ritagliare il comportamento, come i sassi messi per terra sui quali ti siedi. Soprattutto c'era rispetto assoluto. Oggi quel rispetto è saltato, ogni imbecille ne sa più del professore. Non è che tuo figlio ha sempre ragione».
Edoardo Pittalis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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