Sting: il mio bio è come il rock

Lunedì 16 Ottobre 2017
Sting: il mio bio è come il rock
L'INCONTRO
Sting, il lato bio del rock. Ritrovarselo davanti, non tanto per i suoi capelli ancora biondi, ma per quell'aspetto da ultrasessantenne che dimostra vent'anni di meno, rimanda subito alle tante vite spezzate della musica. Una lunga scia di autolesionismi, dissoluzioni, sprechi. «Molti amici se ne sono andati e sono state grandi perdite», ammette, andando con il pensiero all'amico David Bowie e alla lista di lutti di questi mesi recenti. Tutto, in Gordon Sumner da Newcastle, 66 anni compiuti a inizio ottobre, fa pensare a una sorta di liturgia della sopravvivenza, a una disciplina ferrea. Altro che droghe e stravizi: «Mangiare quello che coltivo per me è un divertimento, sto molto attento, non uso pesticidi. Probabilmente è una reazione al fatto che vengo da una zona dell'Inghilterra molto industriale», racconta, fiero non solo della sua fattoria modello in Toscana, ma anche delle battaglie ambientali, da Rainforest alla biodinamica, alla difesa della diversità delle specie animali.
Sì, Sting è un caso speciale: da ragazzo rivela - era già speciale, come atleta: «Correvo i 200 metri ed ero molto veloce. Primo a scuola, poi nella città, quindi nella regione. Nessuno mi ha mai battuto fino ai 16 anni. Poi mi hanno mandato ai campionati nazionali: sono arrivato terzo. Ero devastato. A quel punto ho deciso che la musica sarebbe stato il mio futuro. Nello sport o sei il migliore o non conti. Nella musica ti puoi anche permettere di essere battuto da Bruce Springsteen e di continuare a suonare a 66 anni».
JIMI HENDRIX
Ormai alle ultime tappe del suo tour 59 & 9th (ma non starà con le mani in mano: intanto continuerà a girare il mondo nel 2018, mentre a marzo debutterà con la colonna sonora scritta per lo spettacolo sul Giudizio Universale all'Auditorium Conciliazione), Sting ha trovato il tempo per affacciarsi al nuovo Festival del videoclip di Cesena. È stato protagonista di un weekend con molti ospiti (da Carmen Consoli a Venditti, a Bennato), pronto a raccontarsi in una chiacchierata che diventerà anche un programma per Rai 2. Come quando, da ragazzo («avevo 14 anni»), andò ad ascoltare Jimi Hendrix in un club della sua città: «Terrificante e traumatico, ha cambiato la mia vita. È questo quello che voglio fare, decisi». Da allora, Sting ha conservato la sua ammirazione per Jimi, gli capita spesso di cantare Little Wing (come fece una leggendaria sera del 1987 a Umbria jazz con un maestro come Gil Evans, «una delle grandi esperienze della mia vita», la giudica). Ma, confessa, c'è un poker di canzoni che lo ha segnato: Ain't no sunshine di Bill Whiters, When a man loves a woman di Percy Sledge, Whichita Lineman di Glen Campbell e A whiter shade of pale dei Procol Harum: «Le ascoltavo da teen ager, l'età in cui la musica che ascolti ti forma».
Ma Sting appartiene al genere di rockstar che hanno costruito il proprio monumento anche sull'impegno: «I cambiamenti sociali segnati dal rock sono stati importanti per la mia generazione, sulla scia di Beatles, Stones, Dylan. Oggi il rock ha meno forza. Però il momento politico è difficile e la musica può diventare un riferimento importante». Assicura, comunque: «Non mi rassegnerò mai a scrivere e cantare della mia fidanzata o della mia macchina». E spiega: «Quando canto, penso sempre che qualcuno nel pubblico, un giorno, potrebbe fare politica e, magari, puoi immaginare di aver lasciato in quelle menti un seme positivo. A Londra è venuto a trovarmi in camerino il sindaco Sadiq Khan. Mi ha raccontato che era uno mio fan e che la mia musica lo ha influenzato profondamente».
BREXIT
Sting è pronto a mettersi in prima fila: l'ha fatto con la Brexit e con Trump da englishman che vive a New York e dove sta per cambiare casa (ha messo in vendita il suo spettacolare attico a Central Park West per 50 milioni, ma ha già pronta l'alternativa sempre con affaccio sul parco). Sottolinea così, con orgoglio, il fatto di aver scritto la canzone per il documentario sull'uccisione del giornalista americano James Foley da parte dell'Isis: «Dapprincipio ho risposto che non avevo la forza per scrivere qualcosa di adatto. Poi ci ho ripensato e ho immaginato di essere nella parte di Foley, usando le sue parole».
Ricorda con emozione anche l'11 settembre 2001 a casa sua a Figline. Aveva invitato amici e colleghi per un concerto speciale (un concerto magnifico già provato la sera prima con tanti ospiti): «Non avrei voluto più suonare, poi lo show è diventato una dichiarazione di libertà. Ho cominciato con Fragile, un pezzo pieno di dolore, ogni volta che la suono mi fa male. L'ho usata anche per aprire la serata al Bataclan che tornava alla vita».
Sting ha sei figli, due fanno i musicisti (Joe e Eliot): «L'unico consiglio che gli ho dato è di pensare solo alla musica, non a diventare ricchi e famosi. Mi hanno risposto: per te è facile, sei ricco e famoso. È vero, ma la musica resta un viaggio spirituale. E lo giuro: farei le stesse cose anche se suonassi per 4 o 5 spettatori».
Marco Molendini
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